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Il calcio è ricco giovane e forte. Lontano dall’Italia e da Napoli

Siamo immersi nella realtà di Politano in Nazionale, dell’a testa alta, elogiamo l’acquisto di Osimhen che fin qui è una delle scelte meno redditizie di Adl

Il calcio è ricco giovane e forte. Lontano dall’Italia e da Napoli

Oggi anche la mia ormai limitatissima quotidiana rassegna stampa risulta difficile da processare e digerire. Il solco tra quel poco che vedo e quanto ancor meno leggo commentato è tale per cui anche l’ultimo contatto tra ciò che a me pare la realtà e quello che è il suo racconto è ormai scomparso.

Stamattina apprendo che a Napoli montava una certa sicumera. Ma tu guarda. A Napoli. La sicumera. Serpeggiava ottimismo. C’era ottimismo per la gara contro la Juventus. A Napoli c’era ottimismo. Perdonate i repetita ma portare in ciclo mentale le frasi a mo’ di mantra potrebbe aiutare a estrarne qualche senso. Leggo anche che abbiamo fatto un buon secondo tempo. Ieri. Buon secondo tempo. Ed il presidente si è divertito. Ma tu dimmi.

Forse mi sbaglio ma l’evidenza mi dice che il Napoli sia una squadra che potenzialmente possa perdere contro chiunque. Che credo sia la conditio per abbandonare qualunque ottimismo e realisticamente considerare il famoso sesto/settimo posto il naturale centro di massa verso cui questa squadra naturalmente tende a gravitare. Il quinto posto, ancor più il quarto, sono per me sorprese inattese per una compagine che ha abbandonato progressivamente ogni traguardo, per scelta, per stanchezza. In uno spegnersi progressivo. Il Napoli non ha nessun traguardo in mente. Chi ha visto nella reazione di Insigne di qualche settimana fa a Sassuolo un gesto estremo (che addirittura ha indotto qualche polemica circa il suo essere un esempio fin troppo pulp del calcio diseducativo) credo si trovi già diversi passi – o alcune centinaia di metri – dentro Lalaland.

Forse non si è realizzato ancora pienamente il livello attuale del calcio italiano. Storicamente, magari è bene ribadirlo, siamo nel punto di minimo storico di questo sport nazionale. Ci troviamo in una buca di potenziale gigantesca, direbbero i fisici. Siamo reduci da una non qualificazione ai mondiali. Siamo largamente irrilevanti nelle competizioni internazionali. Il povero Crotone visto a Napoli qualche giorno fa è il simbolo disperante di ciò che è la Serie A in questo momento: un luogo dove Ronaldo può essere un cannoniere; dove Insigne è un campione imprescindibile; dove Dybala continua ad essere un talento. Mentre la Champions macina calciatori, partite, tecnici che abitano in galassie di riferimento totalmente altre.

Forse è difficile ammettere (seppure non ne comprenda appieno il motivo) che aver vinto il campionato del mondo come calciatore non significa essere necessariamente una stella. Gattuso lo ha vinto, ma anche Collovati alzò la coppa nell’82 – eppure non ho trovato chi lo consideri equivalente a Dino Zoff. Si appuntò uno scudetto al petto nel ’90 eppure non credo che Marco Baroni sia da considerare un fulgido astro di questo sport. O sì? Non lo so, chiedo per un amico. Gattuso è stato un grande gregario, onore al suo merito. Ma cosa è il gregario, cosa è il campione. Sono due concetti diversi, o sto scoprendo una nuova legge di questo sport?

Forse sarebbe il caso di iniziare a discutere l’ultimo indiscusso che è Victor Osimhen. Sine ira et studio. Sul resto degli acquisti recenti chi scrive ha già detto – la corrente che vuole Politano in nazionale è solo l’ultima incarnazione dello iato tra realtà e fantasia in cui il sistema calcio è piombato in Italia e a Napoli. Osimhen, si diceva. Possiamo iniziare a dire che, visto l’investimento fatto, può prefigurarsi come una delle scelte meno redditizie del periodo di De Laurentiis? Possiamo notare che sia avvenuta nel punto di massima divaricazione tra realtà e fantasia? Di certo è bene aspettare un contesto tecnico di maggior livello di quello assai scarso attualmente in essere per capirne di più, ma visti i danari spesi sarà comunque difficile trasformare questa operazione in una trovata geniale. (Tralascio gli stralci di titoli di alcuni mesi fa in cui, per festeggiare il primo gol dell’attaccante, si evocavano nomi che persino a Disneyland troverebbero eccessivi).

Forse va detto che il calcio in Italia inizia ad essere uno sport per vecchi, come vecchia diventa sempre più progressivamente tutta la nazione. Si odono lamentele prettamente anziane – prima del Var tutti a favore per battere i cattivoni del calcio, dopo il Var tutti contro perché snatura il gioco, la paura degli algoritmi a supporto delle decisioni degli allenatori che portano alla dissoluzione finale. Consiglio di guardare Pelè, il documentario edito di recente da Netflix. “Il calcio si è trasformato, oggi le squadre pensano solo a vincere e non a dare spettacolo”. Lo diceva Edson Arantes do Nascimiento, in una intervista in bianco e nero di una sessantina di anni fa. Sapete da quanto tempo il calcio è in crisi? Da più di un secolo. Perché non appena le generazioni si avvicendano e le nazioni perdono potere spunta l’apocalisse dei valori che c’erano e ora non vi sono più. Di solito, invece, è solo che sei invecchiato o ti trovi in un luogo che assomiglia ad una enorme casa di cura.

Il calcio esiste. Splende. Richiama ancora frotte di ragazzini. Lo scorso Natale mio fratello mi ha regalato un biliardino di quelli da bar – quei trenta chiletti sobri che gli hanno attratto qualche maledizione. L’ho messo in giardino. In questi giorni in cui un briciolo di primavera ha fatto capolino, nel mezzo dell’ennesimo lockdown, vedo bambini di ogni età venire a giocarci mentre io guardo in mascherina sigillato all’interno di casa. La palla continua a rotolare senza macchia, magica come sempre. Allo Juventus Stadium ieri c’erano solo i fanghi antirughe. Potete tenerveli. Servono a rassodare i muscoli del collo indolenziti dalla testa sempre alta.

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