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Ted Lasso, finalmente un allenatore che ci racconta che cos’è il calcio

La serie prodotta e distribuita da Apple TV+. Dimostra che del calcio si può ridere. Misura il nostro provincialismo e ci svela che cos’è uno spogliatoio

Ted Lasso, finalmente un allenatore che ci racconta che cos’è il calcio

Fatevi un favore, in questo inizio d’anno, guardate Ted Lasso, la serie prodotta e distribuita da Apple TV+. Nata da un successo pubblicitario – a partire dall’omonimo personaggio protagonista dei promo della Premier League su NBC Sports – la sit-com racconta di Ted Lasso, un ex allenatore di football americano, ingaggiato dall’AFC Richmond, una squadra del massimo campionato calcistico inglese, dove egli viene catapultato senza avere la minima idea di come questo sport funzioni. Un signore con l’accento del Kentucky che ai giornalisti molto British che lo deridono, impettiti, alla sua prima uscita ufficiale con la stampa e che lo mettono alla prova chiedendogli in cosa consista la regola del fuorigioco, risponderà: “Userò lo stesso metodo adoperato dalla Corte Suprema americana nel 1964 per definire la pornografia: non è facile da spiegare, ma la capisci quando la vedi”.

Ted Lasso non è opera di sprovveduti: uno dei due autori è, tra l’altro, un ex del Saturday Night Live, il secondo è il creatore di Scrubs, oltre che tra gli autori di Friends. La leggerezza e l’ironia con la quale è stata confezionata, da americani, una sit-com che riesce finalmente a far ridere del e sul calcio (e senza praticamente quasi mai mostrare il campo di gioco) da una parte conferma la capacità d’oltreoceano di saper maneggiare l’entertainment come nessuno, dall’altra dice qualcosa sulla incapacità tutta europea di sdrammatizzare lo sport più seguito del continente.

Mentre in Italia la commedia sul calcio è ferma a trentacinque anni fa con L’Allenatore nel pallone – tralasciando il gusto ormai ossessivo per i remake o le tipiche virate degli attori comici nazionali nei ruoli dei nonni di famiglia, degli uomini in tonaca o delle forze dell’ordine – Ted Lasso, confermando lo strapotere odierno della comicità anglofona e statunitense in particolare (Ricky Gervais, Louis CK, Bill Burr, Dave Chappelle solo per citarne alcuni) dimostra che si può portare al mondo qualche buona risata attraverso il football, evitando di confezionare un prodotto che risulti comprensibile solo a chi abiti la nostra penisola. Insomma è una serie che, senza troppe pretese, misura, deridendolo, il nostro provincialismo, e ricorda che per una risata di giusto livello è utile conoscere la storia del sandalo e dei Monty Python – nata in Europa.

La sit-com si diverte a sbeffeggiare questo sport senza mai mancargli di rispetto (non a caso nel trailer compare un certo Mourinho), riuscendo forse ad essere la più fedele ricostruzione di uno spogliatoio vista negli ultimi anni: diviso, umorale, spesso immaturo e sempre alla ricerca di una difficile sintesi possibile. I giocatori che scendono in campo la domenica sono gli stessi che piangono di commozione mentre assistono ad un film cartone animato; sono i medesimi che si affidano al make up personale per comparire sui social; qualcuno di loro rimane sbigottito al sentire per la prima volta il termine esotico “pavloviano”. L’ambiente che orbita attorno allo spogliatoio è uno stuolo di persone “famose per essere quasi famose”. Il linguaggio di quell’ambiente viaggia per rime baciate, quelle adoperate dal tifo organizzato di qualunque parte del globo per qualche misterioso motivo.

La società calcistica viene rappresentata come probabilmente è: l’unione di molte vicende personali diverse, come in qualunque azienda, nella quale il dipanarsi della storia è spesso incidentale, la pianificazione soprattutto una risposta all’inatteso, la strategia anche figlia di impulsi personali della proprietà. Si rileva una società perché si esce da un divorzio, si diventa allenatori di calcio perché in un divorzio ci si entra. L’allenatore non fa altro che gestire un caos, senza conoscere uno schema. Il suo tecnico in seconda è un tipo taciturno, l’undici titolare finirà per tirarlo giù l’ex magazziniere. In rosa c’è anche il giocatore messicano che sorride e ama il calcio perché “football is life” e non si può ridere alla sua esuberanza senza ricordare Lozano.

Ted Lasso, soprattutto, fa ridere di noi stessi. Con garbo e senza risparmiarla a nessuno, mostra la cocciuta violenza verbale di noi tifosi che formiamo una internazionale della dipendenza dall’unico oppio che è veramente rimasto al mondo. Lo fa attraverso gli occhi dello stereotipo americano, il tipico iperottimista statunitense figlio di una cultura che, nell’epoca post-trumpiana, è in profondissima crisi esistenziale.

Insomma Ted Lasso non è una pietra miliare dell’esistenza né una sua voce da lasciare inascoltata. Esattamente come il calcio.

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