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Il Napoli di Sarri non è stato solo bello, è stato anche risultatista

POSTA NAPOLISTA – Caro Napolista, hai ragione su tante cose, sulle responsabilità di Adl con Ancelotti ma sei troppo tranchant sul Napoli di Sarri

Il Napoli di Sarri non è stato solo bello, è stato anche risultatista
Caro Napolista, il doppio editoriale del direttore (qui e qui) mi ha aiutato ad ossigenarmi dopo l’intossicazione di domenica pomeriggio… era un’eternità che, guardando il Napoli, non spegnevo prima della fine, domenica l’ho fatto dopo il 3-1…vabbè.
Ma proprio perché ti sono grato della rotta che segui, mi permetto di scriverti delle riflessioni che, un po’ sottotraccia, mi erano già più volte salite ogni volta che il filo del discorso si dipanava sulla base di quello che è ormai un classico nel cerimoniale dialettico del Napolista: l’aut-aut tra risultatismo e giocoleria (uso quest’ultimo concetto sussumendo al suo interno sia il palleggio stucchevole dei giocatori in campo, sia il volontarismo epidittico degli statistici fuori dal campo).
Ebbene, quando dici che la crisi del Napoli parte dalla rottura tra De Laurentiis e Ancelotti posso darti solo ragione, perché quello che è venuto dopo è stato deciso in base ad una non meglio identificata volontà di apparecchiare un guardiolismo alle vongole fujute, senza considerare che le vongole non se n’erano fujute, anche perché De Laurentiis, al netto di qualche fuoco fatuo, le vongole le ha trattenute nel loro brodo di coltura. Un mix insano che ora sta scoppiando nelle mani dei suoi stessi artefici.
A questo proposito, torno con la mente all’esultanza di Insigne dopo il terzo e decisivo gol della gara a Salisburgo, ottobre 2019, una delle ultime panchine di Ancelotti. Insigne segna un minuto dopo il pareggio di Haaland, corre verso la panchina con una faccia stirata da tutto, meno che dalla gioia, si trascina appresso quasi tutta la squadra e inizia quello che a Napoli tecnicamente si chiama ‘o capputtone, il cui destinatario è Ancelotti. Non è esultanza gioiosa, è sfogo represso che urla di aver trovato la sua valvola di sfogo. Lo si legge anche sulla faccia di Ancelotti, la faccia di un signore distinto che, suo malgrado, si trova in mezzo a una rissa e, sbiancando, fa umanissima resistenza passiva.

Detto questo, per tornare all’aut-aut caro all’ermeneutica napolista, mi preme osservare una cosa: ebbene sì, horribile dictu sono stato e mi sento ancora oggi sarrita. Mi permetto di dire che il mio sarrismo non deriva da un languido scioglimento di fronte ad inessenziali estetismi di gioco, né meno che mai dalla considerazione che, a monte del risultato, le statistiche devono pur significare qualcosa. Il mio sarrismo deriva, ancora oggi, dal fatto che con Sarri, in una felice alchimia che riuscì a creare con la squadra, il Napoli fece una cavalcata con cui quest’anno, probabilmente, avrebbe vinto il campionato più o meno a ridosso di Pasqua. E i famosi 91 punti dell’ultima stagione di Sarri non furono il frutto narciso di un’estetica autoreferenziale, ma piuttosto la conseguenza matematica di due filotti di 8 e poi 10 vittorie consecutive in campionato, dunque di una continuità di risultati che, piaccia o meno, non si era vista neanche negli anni degli scudetti.

Il Napoli di Sarri non è stato solo bello, è stato anche risultatista, con risultati eccellenti che non hanno portato trofei solo perché c’era contro una quadratissima Juve che ha goduto di un’inerzia che solo adesso pare essersi esaurita. Oltretutto ricordo che anche tu, partecipando di un entusiasmo che serpeggiava diffusamente (dovremmo forse vergognarcene ex-post?), quando vincemmo a Roma con autogol di De Rossi puntualizzasti che il Napoli ormai fa girare la palla così a suo piacimento, che ci può stare che gli avversari, ubriacati dai passaggi, la buttino involontariamente nella loro porta. E così fu. E per me, anche questo faceva del Napoli di Sarri una squadra aggressiva e risultatista.

È vero, Sarri ha marciato sul personaggio che la piazza gli ha ritagliato su misura.
La cosa ha legittimamente disturbato quelli che poi, lo riconosco, sono stati molto più lucidi di me a riconoscere la consensualità della separazione quando Sarri si decise per il Chelsea.
Ma, da sarrita, non ho problemi, né mi sento in contraddizione, a riconoscere di essermi sentito molto più disorientato quando De Laurentiis annunciò il ritorno alla grande bellezza con Gattuso, strappando applausi al ribasso, piuttosto che quando fu annunciato l’ingaggio “perturbante” di Ancelotti, un ingaggio sicuramente sparigliante al rialzo. Il problema è che all’arrivo di Ancelotti avrebbero dovuto seguire le partenze che ratificassero la fine di un triennio, ma la società, dal balcone, ha fatto andare solo chi voleva andarsene. E dunque hai perfettamente ragione ad additare a maggiore responsabile dell’attuale valle di lacrime il conservatorismo infruttuoso di De Laurentiis.
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