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La crisi del Napoli è figlia della rottura tra Adl e Ancelotti: i no alle cessioni di Allan e Insigne, e a Ibra

Per il brasiliano il Psg offrì 60 milioni più 20. Fu uno scontro di visione, fondamentale per capire l’oggi. Adl disse no alle scuse post-ammutinamento

La crisi del Napoli è figlia della rottura tra Adl e Ancelotti: i no alle cessioni di Allan e Insigne, e a Ibra
foto Ciambelli

È doveroso che noi del Napolista spieghiamo, una volta di più, perché riteniamo Aurelio De Laurentiis di gran lunga il principale responsabile della attuale condizione del Napoli. E perché consideriamo il punto di svolta, il punto di non ritorno, l’esonero di Ancelotti e non, come i sarriti indefessi ripetono, l’addio a Sarri.

Checché ne dicano gli ostinati, il divorzio tra Sarri e il Napoli è stato fondamentalmente consensuale. Sarri sapeva fin troppo bene che quel ciclo si era esaurito e che, al di là del giudizio sul campionato dei 91 punti, quell’impresa con quella squadra non sarebbe stata più ripetibile. Sarri voleva andar via anche per le sue legittime ambizioni economiche e di carriera. De Laurentiis, pur non amandolo, provò a trattenerlo dopodiché si arrese all’evidenza. I sarriti se ne facciano una ragione.

A quel punto, De Laurentiis ebbe una felicissima intuizione. Purtroppo non suffragata da una adeguata convinzione. Fu una scelta superficiale. De Laurentiis portò a Napoli forse l’unico allenatore che avrebbe potuto reggere la pressione del post Sarri: Carlo Ancelotti. In un ambiente impregnato di adorazione per il Comandante. Un ambiente completamente traviato dalla presunta bellezza, dal calcio estetico, al punto da confondere i principi elementari del gioco del calcio. Sembrava quasi che i gol e le vittorie fossero appendici, orpelli. Quel che contava erano la quantità di passaggi, le statistiche e cose che sappiamo benissimo.

Il primo anno Ancelotti fece bene, anzi molto bene. Ma persino quel secondo posto, in un ambiente malsano, ancora oggi è considerato pochissima roba. Basti pensare che chiuse il girone d’andata con 44 punti, oggi sarebbe primo. Il Napoli disputò uno straordinario girone di Champions. Altro che magnifici primi tempi col Real Madrid, il Napoli di Ancelotti sconfisse il Liverpool al San Paolo e giocò alla pari col Psg di Neymar e Mbappé: sfiorò la vittoria al Parco dei Principi e mise alle corde i francesi nel secondo tempo a Napoli. L’eliminazione a Liverpool pose fine alla prima fase dell’esperienza di Ancelotti in azzurro. Quell’anno, della vecchia guardia partì il solo Jorginho. Furono acquistati Meret, Ospina, Fabian. Ancelotti rivalutò Maksimovic completamente dimenticato da Sarri. E provò l’intera rosa a disposizione. Chiuse definitivamente l’epoca dei titolarissimi.

È nella seconda fase che si consuma il divorzio tra De Laurentiis e Ancelotti. Un rapporto che fin lì sembrava un idillio. Ma questo è un antico vizio del patron della Filmauro. Proprio come spesso accade in amore, nei primi tempi De Laurentiis seduce e coccola gli allenatori, li ricopre di attenzioni. Per poi, alle prime divergenze, progressivamente sparire e gettarli in una condizione di isolamento. Anche perché a Napoli, nel Napoli, la società è De Laurentiis. Altre figure degne di nota non ce ne sono. Fatta eccezione per l’uomo ombra di De Laurentiis, quel Chiavelli della cui rilevanza si è scritto e si scrive troppo poco. Un uomo molto influente in casa Napoli.

La seconda fase cominciò dopo Liverpool. Con l’addio di Marek Hamsik. Lo slovacco, che Ancelotti piazzò nel ruolo che fu di Jorginho, andò in Cina. Fu un colpo al cuore alla piazza malata di passatismo. A Napoli i tifosi avrebbero giocato con la squadra che fu di Sarri per altri trent’anni, fino alla soglia della pensione. Un’idea perversa che è stata alla base dell’assurdo rinnovo concesso a Mertens (33 anni) e non a Milik (26). Il club ha di fatto ripetuto l’errore commesso da Moratti dopo il triplete dell’Inter. Con la differenza che quell’Inter vinse tutto, mentre noi ci siamo appuntati la medaglia dei 91 punti e del presunto calcio più bello del mondo.

Ancelotti era l’uomo ideale per la gestione del post-Sarri anche perché – a differenza di qualsiasi altro tecnico dell’era De Laurentiis – non poneva alcun veto sulle cessioni dei calciatori. Era perfettamente consapevole che un club come il Napoli, proprio per rimanere ai vertici del calcio italiano ed europeo, aveva bisogno di vendere i calciatori con quotazioni irripetibili. Un tipo di allenatore che De Laurentiis non troverà mai più. Tant’è vero che, proprio in concomitanza con l’addio di Hamsik, gli emiri del Psg bussarono alle porte del club per Allan. Sontuosa l’offerta: 60 milioni più 20 milioni in sponsorizzazioni. E ovviamente un ingaggio da capogiro per il brasiliano. Lo stato maggiore del Napoli si riunì. Ancelotti diede il via libera alla cessione. Non perché Allan non gli piacesse ma perché a quelle cifre il calciatore va venduto e poi perché non si trattiene un calciatore controvoglia. Erano tutti d’accordo, tranne De Laurentiis. Che poi, 18 mesi dopo, si è ritrovato a vendere Allan all’Everton (proprio di Ancelotti) per circa 25 milioni. Meno di un terzo rispetto all’offerta del Psg. Ancelotti avrebbe voluto sostituire Allan con Barella. Il centrocampista era riottoso ma i modi per provare a convincerlo ci sarebbero stati. Ma De Laurentiis tagliò la testa al toro bloccando la cessione di Allan.

Non è che Ancelotti avesse rotto con calciatori come Mertens, Callejon, lo stesso Insigne. Era però fermamente convinto che un ciclo si era concluso e che serviva un ricambio. In campo e nello spogliatoio. Il tecnico avrebbe voluto aprire le finestre e far cambiare l’aria. Più che per gli acquisti, la rottura tra Ancelotti e De Laurentiis è avvenuta sulle cessioni. Sull’idea del Napoli del futuro. Tra gli uomini che Ancelotti avrebbe fatto partire c’erano anche Hysaj, Ghoulam, lo stesso Mario Rui. E l’addio di Raiola a Insigne, certamente non il contrario, avvenne quando Mino capì che le pretese di De Laurentiis e del giocatore per una eventuale cessione erano decisamente fuori mercato.

Finì che rimasero tutti. Alcuni controvoglia. E alcuni, tanti, con situazioni contrattuali pendenti. Troppi. Errore madornale di De Laurentiis che non ebbe il coraggio di cambiare. Checché se ne dica, Adl ha tanti meriti (e noi glieli riconosciamo tutti, con gratitudine) ma non è un imprenditore coraggioso. È un imprenditore accorto, che a Napoli ha fatto benissimo. Sempre col suo passo. Anche comprensibilmente, visto che i soldi sono suoi. Ma in questo caso il conservatorismo gli si è ritorto contro. Non ha venduto i calciatori quando era il momento di venderli e oggi si ritrova una rosa decisamente deprezzata.

Il secondo anno, degli uomini chiesti da Ancelotti arrivarono soltanto Manolas e Lozano. E lo spogliatoio rimase con gli stessi capi-bastone. In più, come detto, tante situazioni contrattuali irrisolte: Mertens, Callejon, Maksimovic, Zielinski, Allan, Hysaj, Milik e forse qualcun altro che dimentichiamo. È in questa situazione che la decisione del ritiro – che De Laurentiis fece calare dall’alto – provocò l’ammutinamento. Il malessere dello spogliatoio contro De Laurentiis, deflagrò in modo clamoroso. Successivamente il Napoli provò a presentare quell’ammutinamento come una protesta dei calciatori contro Ancelotti. Si trattò, e ancora si tratta, di un clamoroso falso storico. Fu un atto di insubordinazione nei confronti della società. Che poi, sbagliando tutto quello che poteva sbagliare, ha finito col perdonare i calciatori e cacciare l’allenatore.

Tra l’altro, pochissimi giorni dopo l’ammutinamento, proprio Ancelotti parlò con i giocatori che erano pronti a chiedere scusa a De Laurentiis. Era il giorno dell’allenamento al San Paolo. Ma il presidente, dopo aver inizialmente acconsentito, misteriosamente si tirò indietro e cominciò la storia delle multe che poi è rimasta lettera morta.

Infine Ancelotti, prima di essere esonerato, aveva convinto De Laurentiis a prendere Ibrahimovic. Il tecnico emiliano aveva capito perfettamente che serviva una guida in campo e nello spogliatoio, un fuoriclasse in grado di trascinare il gruppo fuori dalle secche. È finita come sapete. Il Napolista ve l’ha raccontato con dovizia di particolari (qui e qui).

De Laurentiis mandò via Ancelotti e ingaggiò Gattuso che venne presentato come l’uomo che avrebbe riportato il sarrismo a Napoli. Si è provato a montarlo mediaticamente. C’è stata una poderosa azione di propaganda sulla magnificenza degli allenamenti di Gattuso, su Ancelotti che invece non li faceva lavorare. Si è giocato molto sull’arretratezza mentale dell’ambiente Napoli che infatti ha abboccato. Oltre la vittoria della Coppa Italia, però, il campo ha certificato più dolori che gioie. L’unico veleno è stato quello somministrato ai tifosi. In più, ci si è messo il Covid a rovinare i piani di De Laurentiis. Molte cessioni sono state bloccate. Mentre in entrata il Napoli ha speso circa 150 milioni tra Osimhen, Politano, Petagna, Lobotka, Demme, Rahmani, più Bakayoko.

Adesso, quattordici mesi scarsi dopo l’esonero di Ancelotti, De Laurentiis si ritrova ancora il Napoli settimo in classifica (come al momento dell’addio al leader calmo), con una rosa il cui valore si è praticamente dimezzato, senza un’idea di gioco, con uno spogliatoio privo di leader e senza una reale programmazione per il futuro. Senza un’idea del Napoli. È questo che noi del Napolista intendiamo per responsabilità di De Laurentiis. Poi certo potremmo parlare a lungo di Gattuso e di Giuntoli. Ma è stato De Laurentiis ad essersi affidati a loro. Ed è questo che intendiamo quando scriviamo che Ancelotti era l’unico ad avere avuto un’idea di futuro. Aveva un piano per il Napoli. Ma De Laurentiis non lo ha seguito. E ora ne sta dolorosamente pagando le conseguenze. È stato il classico caso di divergenze di vedute tra l’amministratore delegato (Ancelotti) e il proprietario dell’azienda.

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