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A Cagliari il miglior Napoli possibile

La squadra di Gattuso ha giocato con grande intensità. Ovviamente i 34 tiri in porta sono anche dovuti alla forza e all’assetto tattico del Cagliari

A Cagliari il miglior Napoli possibile

La necessaria intensità

Nel corso della partita tra Cagliari e Napoli, la squadra di Gattuso ha offerto una sensazione di pericolosità costante. Sembrava che ogni azione offensiva degli azzurri potesse davvero trasformarsi in un gol, quantomeno in un’occasione limpida. Senza interruzioni, senza soluzione di continuità. Questa percezione si è originata a partire da diversi fattori: la qualità modesta del Cagliari; l’atteggiamento e lo schieramento della squadra di Di Francesco, tagliati su misura (o quasi) sulle caratteristiche del Napoli; in ultimo, ma non per importanza, una grande e necessaria intensità nel gioco della squadra di Gattuso.

Cominciamo proprio da quest’ultimo punto. Come sapete, chi scrive questa rubrica pensa che il Napoli abbia una rosa ibrida, incoerente nelle caratteristiche dei vari giocatori che la compongono. In virtù di tutto questo, l’approccio tattico di Gattuso deve essere necessariamente vario, mutevole, di partita in partita e nel corso della stessa partita, a seconda delle circostanze, delle contingenze. È inevitabile che questo tipo di progetto comporti qualche rinuncia a livello di automatismi, di precisione dei meccanismi, rispetto alla fluidità di una squadra identitaria, che gioca sempre allo stesso modo.

Cosa vuol dire “intensità”?

Proprio perché il Napoli non può essere una squadra perfetta tatticamente, allora deve essere una squadra intensa. Ovvero, deve andare sempre ad alto ritmo – che sia su tracce verticali, insistendo sul possesso ricercato, come avvenuto contro il Cagliari, o anche esasperando il gioco difensivo – quando il risultato è ancora in bilico, quando il punteggio non può essere gestito. In Sardegna è andata proprio in questo modo.

Soprattutto rispetto alle ultime prestazioni contro Lazio e Torino, il Napoli ha dimostrato di aver ritrovato la brillantezza necessaria per giocare in maniera intensa, che non vuol dire solo correre molto e coprire bene il campo, ma anche (soprattutto) muovere il pallone con velocità, costruire azioni offensive in maniera frequente. Il fatto che gli azzurri creino o abbiano creato molte occasioni da gol è una conseguenza. Una conseguenza di questa intensità manifestata, e della qualità manifesta dei giocatori a disposizione di Gattuso.

Cambiamenti (fisici e tattici)

Al termine della gara contro il Torino, Gattuso aveva sottolineato proprio questo aspetto. Il Napoli, secondo il suo stesso allenatore, era una squadra troppo stanca – e anche falcidiata dalle assenze – perché potesse essere efficace. È una condanna alla brillantezza di cui si è avuta percezione ieri a Cagliari: gli azzurri hanno mostrato una condizione fisica molto migliorata, e così sono riusciti a vincere agevolmente senza grandi cambiamenti tattici. Anche in Sardegna, infatti, Gattuso ha scelto di confermar il 4-2-3-1 con Zielinski alle spalle di Petagna; Fabián Ruiz è rientrato nel doble pivote accanto a Bakayoko, con Lozano schierato a destra al posto di Politano.

Nel due frame in alto, due momenti “classici” del Napoli schierato col 4-2-3-1 offensivo: il doble pivote in fase di impostazione (prima immagine) e poi Zielinski che si associa nel mezzo spazio a sinistra, dal lato di Insigne, in posizione opposta rispetto alla zona in cui Bakayoko consolida il possesso; nella grafica sopra, invece, le posizioni medie nel primo tempo di Cagliari e Napoli. Si notino gli schieramenti speculari, anche nel bilanciamento tra le due corsie laterali, scelti da Di Francesco e Gattuso.

Dal punto di vista dei principi di gioco, il Napoli non si è discostato molto dalle ultime gare: ricerca insistita della costruzione sulle fasce (74% delle azioni costruite sulle corsie) e del possesso palla (il dato a fine gara dice 62% in favore degli azzurri); in fase offensiva, la squadra di Gattuso ha esasperato la ricerca delle combinazioni strette (215 passaggi nell’ultimo terzo di campo) e del gioco tra le linee, soprattutto grazie alle imbucate verso Zielinski e Insigne.

Il polacco sembra sempre più a suo agio nel ruolo di sottopunta, non solo per i due (splendidi) gol realizzati, ma anche per la capacità di farsi trovare alle spalle dei centrocampisti avversari, indifferentemente a destra e a sinistra, laddove si materializzano la superiorità numerica e quella posizionale. Anche Insigne, nonostante conservi la tendenza a ricevere palla nella sua zona preferita, la fascia sinistra e il mezzo spazio di centro-sinistra, si è fatto trovare anche in altre porzioni di campo, sempre alle spalle dei giocatori avversari.

In alto, la mappa di tutti i palloni toccati da Zielinski; in basso, tutte le giocate di Insigne.

Un altro segnale rispetto al miglioramento della condizione fisica del Napoli riguarda Fabián Ruiz. Dopo alcune partite in cui è parso davvero fuori fase, lo spagnolo è tornato a essere centrale – e pure efficace – nel gioco della squadra di Gattuso. La buona prestazione del centrocampista andaluso si misura nei numeri: 103 palloni giocati, record tra tutti i giocatori in campo; precisione dei passaggi superiore al 95%; 3 passaggi chiave, un dribbling riuscito e pure 4 conclusioni tentate verso la porta di Cragno.

Perché la prestazione positiva di un solo calciatore è una spia del buon andamento di squadra in una singola gara? Dipende dalle caratteristiche di Fabián Ruiz. Come detto in precedenza, il Napoli a Cagliari è riuscito a gestire il possesso con rapidità, con qualità. È una condizione che esalta un centrocampista come l’ex Betis, abilissimo a muoversi in funzione della palla, a farsi trovare in una posizione sempre diversa, per velocizzare a sua volta il possesso con passaggi ambiziosi, che tagliano le linee avversarie e/o mettono i compagni in condizione di di effettuare giocate importanti.

L’importanza di un passaggio veloce, tagliente, come quello di Fabián per Di Lorenzo.

Come si vede anche nel video di sopra, il Napoli è riuscito a giocare in maniera intensa e veloce – quindi efficace – anche con la difesa avversaria schierata. I numeri della gara in Sardegna non mentono, più che in altre occasioni: 34 conclusioni tentate verso la porta di Cragno; di queste, 19 sono state scoccate dall’interno dell’area di rigore e 11 sono finite nello specchio della porta; inoltre, addirittura 24 di questi tiri sono arrivati al termine di azioni manovrate. Quest’ultimo è un numero altissimo, considerando che la squadra con il maggior numero di conclusioni in Serie A non arriva a 19 tentativi totali per match. Per inciso, questa squadra è il Napoli.

Quanti (e quali) sono i demeriti del Cagliari?

Come detto in apertura, non va dimenticato che lo schieramento e l’atteggiamento tattico del Cagliari sono risultati perfetti per aiutare il Napoli. È ovvio che Di Francesco non abbia deciso di consegnarsi inerme alla squadra di Gattuso, ma le caratteristiche della sua squadra gli hanno consigliato di non snaturarsi, di insistere su certi principi e su certi meccanismi, piuttosto che di cambiare approccio. E infatti il Cagliari si è presentato con un 4-2-3-1 puro, che diventava 4-4-2 in fase difensiva, teso alla ricerca della transizione veloce e delle combinazioni sulle fasce, soprattutto a destra (la squadra sarda ha costruito il 51% delle sue azioni sulla corsia destra).

Una squadra che prova a realizzare certi concetti, con queste spaziature, era destinata a soccombere contro il Napoli di ieri, in una delle sue migliori versioni della stagione. Un esempio significativo, in questo senso, è rintracciabile nell’azione che ha determinato più di tutte l’andamento della gara, quella del secondo giallo comminato a Lykogiannis per fallo su Lozano. Come si vede chiaramente dal video sotto, il terzino greco del Cagliari risulta molto avanzato, equindi fa fatica a rientrare, quando il messicano riceve il pallone da Zielinski. La velocità e l’astuzia di Lozano fanno il resto: Lykogiannis è costretto a metterlo giù e a prendersi un’altra ammonizione.

Merito del Napoli, che è riuscito ad accendere uno dei suoi migliori giocatori in una delle sue situazioni preferite, la percussione in campo aperto; ma colpa anche del Cagliari, che non è riuscito a limitare il suo lato più ambizioso e offensivo, neanche quando avrebbe dovuto – pochi minuti dopo aver incassato il gol dell’1-2, quando forse il risultato non era ancora compromesso in maniera definitiva.

Come si ferma Lozano in campo aperto, se non in questo modo?

A parte l’azione (fortunosa) del gol di João Pedro, il Cagliari è stato praticamente inoffensivo. Solo altre due occasioni (sugli 8 tentativi totali da parte dei giocatori rossoblù) sono state davvero pericolose: il colpo di testa di João Pedro su scucchiaiata di Gastón Pereiro e la conclusione di Simeone su passaggio errato di Manolas. Per il resto, il Napoli ha difeso con ordine e buona tempestività nelle chiusure.

Anche questo è un segnale chiaro di una ritrovata condizione fisica: la squadra di Gattuso è ancora la miglior difesa della Serie A (13 gol subiti in 14 partite) nonostante abbia sempre subito almeno un gol nelle ultime cinque gare di campionato, quindi si può dire che abbia una fase passiva efficace, solo un po’ intermittente nell’ultimo periodo. A Cagliari abbiamo (ri)visto un ottimo rendimento difensivo, a parte pochi segmenti isolati. Ma soprattutto abbiamo rivisto la capacità di giocare in maniera rapida e pericolosa anche in attacco, senza smarrire gli equilibri.

Pregi e difetti storici

Insomma, il Napoli 2020/21 conferma i suoi pregi storici, che poi sono anche i suoi difetti: è una squadra che riesce quasi sempre a contenere i suoi avversari – anche contro Inter, Lazio e Torino, le occasioni concesse sono state poche –, ma che spesso fa fatica ad attaccare in maniera convincente. In Sardegna, invece, tutti i tasselli sono andati al proprio posto: merito dei già citati Insigne, Zielinski, Fabián Ruiz e Lozano, ma anche di Petagna – autore di una prova intelligente e generosa – e dei terzini Di Lorenzo e Mário Rui: l’ex Empoli ha servito un assist e altri 4 passaggi chiave; il portoghese, invece, è stato molto presente in fase di costruzione (83 palloni giocati, 53 passaggi con un tasso di precisione dell’89%) e ha dato pure un buon contributo creativo (3 dribbling riusciti, 6 cross tentati).

In attesa del ritorno di Osimhen, e quindi del gioco verticale, questo è il miglior Napoli possibile. Gattuso non ha stravolto nulla, semplicemente ha ritrovato una squadra in grado di far girare velocemente il pallone. È un discorso di condizione fisica che diventa grip mentale positivo, di singoli che fanno funzionare il sistema. Di giocate brillanti che vengono provate, perché i giocatori vengono messi in condizione di provarle. Di giocate che, quindi, riescono. Allora l’autostima cresce, la squadra gira, arrivano i gol. In fondo la qualità della rosa azzurra resta elevata, magari non è (ancora) possibile costruire una squadra dall’identità definita, ma contro certi avversari può bastare.

Conclusioni

Come detto, però, quella contro il Cagliari è stata una partita buona. Buona e giusta. Cioè, il Napoli è apparso tonico, ha affrontato un avversario di livello più basso e con un atteggiamento tattico ideale. Un mondo completamente diverso rispetto a dieci giorni fa, quando dopo Napoli-Torino scrivemmo che «la squadra di Gattuso era stanca e quindi non aveva niente da offrire».

Dal cambiamento, anzi dal miglioramento di questa condizione passano la stagione del Napoli e la consistenza delle sue ambizioni. La squadra di Gattuso vivrà altri periodi di difficoltà atletica ed emotiva; affronterà altri tour de force con tante gare difficili in pochi giorni; per un po’ di tempo non potrà contare ancora su Mertens e Osimhen. Insomma, non tutte le premesse di tutte le partite potranno essere favorevoli come quelle che hanno anticipato Cagliari-Napoli. In questi momenti complessi che verranno nel futuro, servirà qualcosa in più, a livello offensivo, perché i risultati continuino ad arrivare.

A Cagliari tutte le scelte individuali e collettive sono state indovinate; i giocatori erano concentrati e fisicamente pronti; il piano partita ha funzionato, pur nella sua semplicità. Ecco, dovrà andare sempre così. Perché finora il Napoli ha dimostrato di non avere (ancora?) gli strumenti suppletivi necessari – tra campo e panchina, intesi come personalità, risorse tattiche ed emotive e d’urgenza – per andare oltre l’addizione aritmetica dei suoi (alti) valori. Quando invece questi stessi valori potrebbero essere moltiplicati per poter vincere gran parte delle partite anche nei momenti difficili, ed è questo il vero obiettivo della tattica calcistica.

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