Pioli: «Ho investito su me stesso, ho fatto corsi. Sono un provinciale testardo e la testardaggine aiuta»

Al Corriere: «Invidio i colleghi giovani che hanno già tutto molto chiaro, io ho avuto bisogno di lavorare tanto. Ibra? Un giorno venne in ufficio e disse 'parlo io'. L'ho ascoltato e il giorno dopo ho parlato io»

Pioli

Il Corriere della Sera intervista l’allenatore del Milan, Stefano Pioli. Chiude l’anno con il botto, con la squadra al primo posto.

«La prima volta che sono entrato a Milanello ho sentito qualcosa di magico, un’energia unica. Ma il fatto è che la risento ogni mattina alle 8. So di essere fortunato. E farò di tutto per continuare a meritarmi questa fortuna».

Racconta il lungo lavoro che gli è costato arrivare fin qui.

«Invidio i colleghi giovani che hanno già tutto molto chiaro, io ho avuto bisogno di lavorare tanto: ho fatto corsi di comunicazione, di psicologia, di gestione delle persone. Appena ho potuto sono andato a studiare altri allenatori. Ho investito molto su me stesso: se mi vedessero adesso i giocatori che ho allenato nel 2003 a Salerno, quando ho iniziato, non mi riconoscerebbero».

Dà una definizione di sè, «non sono un genio, ma determinato e tenace sì. E curioso». Racconta di essere cresciuto con il valore della

«cultura del lavoro, non della rivalsa. Ho da dimostrare solo a me stesso. Mi sento completo, ma so che posso fare anche di più. Sono un provinciale testardo. E la testardaggine aiuta».

Si descrive come un uomo esigente.

«Sono esigente con tutti come lo sono con me. E quindi anche con mio figlio. Anche perché i giocatori sono tutti un po’ miei figli. È bello comunque lavorare con Gianmarco. Ma sul campo è un collaboratore come tutti gli altri».

Su Ibra:

«Mai conosciuto un giocatore così intelligente e simpatico. Sono momenti così, tornerà e giocherà più di prima. Ma già la sua presenza è fondamentale, sa trascinare e stimolare i compagni».

Non è difficile gestirlo, dice.

«Perché siamo entrambi diretti, non ci nascondiamo, nel bene e nel male. Ci siamo detti anche cose negative, succede, è normale, è la dinamica logica di una squadra. Una volta è entrato nel mio ufficio e mi ha detto: mister, oggi parlo io. Io mi sono messo lì e ho ascoltato. Il giorno dopo ho parlato io. Funziona così. Bisogna capire le situazioni, le persone, i momenti».

Gli chiedono quale immagine sceglierebbe per rappresentare il 2020. Risponde:

«La sera del 20 luglio, quando Gazidis mi telefona alla vigilia di Sassuolo-Milan per comunicarmi che lui e la proprietà avevano deciso di confermarmi per la stagione successiva, se mi andava bene. Gli ho detto: Ivan, aspetta che ci penso un attimo… Ovviamente scherzavo, non ho messo giù il telefono. È stata una grande emozione, come quando dopo la partita ho dato l’annuncio alla squadra e ai miei collaboratori».

Indica l’obiettivo per il nuovo anno:

«Continuare a migliorare. E, sì, tornare in Champions. Il club non ci ha chiesto nulla, non ci vuole dare pressioni, questo io l’ho apprezzato moltissimo. Maldini, Massara, Gazidis ci mettono nelle condizioni di lavoro ideali: sono straordinari. Ma noi abbiamo bene in testa che dobbiamo fare di tutto per riportare il Milan dove deve, cioè in Champions. Manca da troppo tempo, quello è il suo posto. Possiamo farcela».

 

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