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«La Var è l’equivalente calcistico della Brexit, un danno autoinflitto sempre più ridicolo e invadente»

Paul Wilson scrive di calcio da più di 30 anni, e sul Guardian dice basta: la Var gli ha rotto il giocattolo: “la tecnologia non sempre significa progresso”

«La Var è l’equivalente calcistico della Brexit, un danno autoinflitto sempre più ridicolo e invadente»

Pual Wilson scrive di calcio da più di 30 anni. Per il Guardian, The Indipendent, ora per l’Observer. E dopo 30 anni dice basta: la Var gli ha rotto il giocattolo. Questo calcio non gli piace più. E lo dice, testuale, così:

“Il Var è l’equivalente calcistico della Brexit, un danno autoinflitto che diventa ogni settimana più ridicolo e invadente, senza che nessuno voglia alzarsi e dire che questo non è affatto ciò che avevano previsto”.

Poi, nel suo editoriale sul Guardian, si spiega meglio.

Magari, scrive, “non è esattamente un’emergenza se uno sport vuole rendersi ridicolo in questo modo, sebbene il calcio in Inghilterra sia un prodotto leader di mercato e dovrebbe far parte dell’industria dell’intrattenimento”.

“All’inizio degli anni ’90 – ricorda – nessuno doveva preoccuparsi che il calcio si trasformasse in una vetrina per procura per stati nazionali con molti soldi, ma scarsi risultati sui diritti umani, per esempio. L’idea di giocare una Coppa del Mondo in Qatar sarebbe stata giustamente liquidata come ridicola, la Fifa doveva ancora trasformarsi in un imbarazzo internazionale e l’idea di élite della Champions League, una gruppuscolo di club che sarebbe diventata più ricco e più forte a spese di tutti gli altri, sarebbe sembrato ingiusto e indesiderabile”.

Eppure nessuno avrebbe immaginato “che ad un certo punto in futuro, le partite sarebbero state messe in pausa per manciate di minuti mentre un gruppo di funzionari in un bunker analizza centimetri per decidere se un gol può essere convalidato o meno“.

Il punto, per Wilson, è che la Var ha ucciso la spontaneità.

“Festeggiare un gol è uno dei piaceri dell’assistere a una partita dal vivo. A seconda del tipo di gol, potrebbe essere necessario dare un’occhiata giudiziosa alla bandiera del guardalinee prima che la gioia possa esplodere, ma non di più. Il calcio non è il cricket o il tennis, che sono attività stop-start che coinvolgono centinaia di decisioni sulle linee ogni partita. Deve gran parte della sua popolarità all’essere spontaneo e scorrevole“.

“L’intero principio secondo cui ogni gol deve essere esaminato retrospettivamente per verificare se c’è qualche motivo per annullarlo, sembra sbagliato, antisportivo, è il carro prima dei cavalli”.

“A quelli che sostengono che è importante essere corretti qualunque sia il tempo necessario o che il fuorigioco è una questione bianca e nera per cui mezzo centimetro è uguale a mezzo metro, direi questo: un giocatore in fuorigioco per un’ascella o per l’alluce sta imbrogliando? Cercano o ottengono un vantaggio ingiusto? E date le distanze così ridotte è probabile che abbiano idea se sono in fuorigioco o no? Se la risposta a tutte e tre le domande è no, come spesso accade, abbiamo davvero bisogno che il calcio venga fermato all’infinito in un’inutile ricerca della verità assoluta?”

“A differenza delle linee nel cricket e nel tennis, la linea del fuorigioco non è dipinta sul campo. Opporsi all’applicazione retroattiva delle linee elettroniche non è necessariamente una posizione luddista. Uno sport può inventare o modificare le proprie regole, non è governato dalle leggi dell’universo. Ma la tecnologia non sempre significa progresso”.

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