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Ibrahimovic la rockstar va a Sanremo e ci ricorda che il Napoli gli preferì Demme e Lobotka

Non è un’appendice di spettacolo, lui è lo spettacolo. Com’è che il Napoli gli abbia detto no, resta un mistero che un giorno andrà chiarito

Ibrahimovic la rockstar va a Sanremo e ci ricorda che il Napoli gli preferì Demme e Lobotka

Nel momento in cui scriviamo Ibrahimovic a Sanremo è la notizia d’apertura online di tutti e tre i quotidiani sportivi italiani. E non solo perché siamo tra Natale e Capodanno e le notizie vanno in ferie. E nemmeno perché Sanremo è un catalizzatore di click, a dispetto della realtà circostante. In fondo nel mondo (anche quello sportivo) non sta accadendo niente di cheE’ proprio Ibra, la notizia. La rockstar che trova un palco accessorio per un’ulteriore definizione di sé. Non bastassero le varie caratterizzazioni del Dio che lui stesso indossa a piacimento. Ci sfotte, proprio.

Le metafore, poi, rischiano di essere sempre quelle, ma se in primavera scrivemmo che “Ibra invecchia come Mick Jagger mentre altri finiscono al pianobar” c’era un motivo. Il Milan ebbe un’intuizione, a gennaio: strappare quel paradosso vivente alla pensione americana, e metterlo dentro uno spogliatoio incoerente come un incastro di Tetris sbagliato. Ci aveva pensato pure Ancelotti ma, andato via lui, non se ne fece più nulla. Gattuso preferì evitare, anche per motivi di spogliatoio, De Laurentiis si astenne, si narra che Giuntoli si mise a ridere all’idea. Il Napoli gli preferì Demme e Lobotka.

Ora che il Milan è primo in classifica, con lui a fare i conti con la facilità di infortunio dei quarantenni, la riuscita dell’operazione viene vidimata non tanto dai risultati in campo, ma proprio dalla chiamata di Amadeus. Uno, per dire, che sta seriamente pensando di mettere il pubblico dell’Ariston in quarantena su una nave da crociera. Ibra se va a Sanremo ci va per tutte e cinque le serate, mica solo per una comparsata. Quella l’aveva già fatta Totti, nel 2017.

Ibra non è un’appendice di spettacolo, lui è lo spettacolo. È un buco nero che inghiotte le attenzioni del contesto. È già magnanimo a non aver preteso di cantare e vincere nella categoria Big (“Di Ibrahimovic-Zlatan-Fedez, canta Ibra, dirige Peppe Vessicchio!”, pensa il fascino, pensa le vagonate di televoti).

Uno che ha caricato terabyte di gol assurdi, scorpioni e ganci disarticolati su Youtube, sparpagliati tra Serie A, Premier, Liga, MLS, poi atterra nel nulla della Serie A. La conquista è l’unica opzione praticabile. Come sia pensabile non provare ad accaparrarsi questo bene rifugio quand’era disponibile sul mercato, è uno di quei misteri che solo Giuntoli, un giorno, potrà chiarire.

In generale se fai così lo sbruffone, per una vita intera, resti vittima della macchietta. Il fatto che Ibrahimovic sia ormai aderente al personaggio ha a che fare con la “credibilità” – come direbbero a X-Factor – che s’è costruito. Nessuno, mai, s’illude che possa fare esercizio di modestia, manco per scherzo. Per cui, poi, persino a Napoli hanno registrato il suo “Maradona è stato il migliore, pure meglio più di me” come attestato di stima. Come se ce ne fosse bisogno: eh, se lo dice Ibra…

Ha una tale portata, questo fiume umano di popolarità, che non ci pensiamo un attimo a mettere in cima alla gerarchia delle notizie il suo ingaggio come suppellettile d’uno show nazional-popolare. Perché il calcio quello è, un fenomeno affine. Il colpaccio era intuire a tempo debito che sarebbe finita così, con uno così. Il Napoli l’anno scorso sè l’è fatto passare sotto al naso. Come un Festival di Sanremo che ha la possibilità di fare esibire Bono Vox e dice no, grazie, abbiamo già Il Volo.

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