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La perenne divisione dell’ambiente Napoli indebolisce il Napoli

Un mese fa, le frasi del sindaco de Magistris su un’ipotesi di accordo tra Asl e il Napoli vanno in quella direzione. È l’ultima di una lunghissima serie

La perenne divisione dell’ambiente Napoli indebolisce il Napoli

“Napoli, we have a problem”, avrebbe detto l’astronauta Jack Swigert se oggi si trovasse con i suoi compagni di viaggio a bordo della navicella Napoli Calcio.

Probabilmente dalla base di Houston/Castel Volturno inizierebbero a capire che forse anche stavolta lo scudetto diventerà come la Luna per l’equipaggio di Apollo 13 nella missione dell’aprile 1970. Irraggiungibile.

E per il Napoli di De Laurentiis, contrariamente alla NASA di quegli anni, che almeno sulla Luna riuscì ad arrivarci per sei volte, si tratterebbe dell’ennesima missione abortita.

Perché questo paragone apparentemente assurdo? Semplicemente perché le missioni difficili, quasi impossibili, hanno bisogno di un contesto di totale unità di intenti per riuscire. Quell’unità che appartiene poco alla storia di questo Napoli, in questa Napoli.

Lungi dal voler dimostrare che certe cose accadono solo per mancanza di compattezza dell’ambiente, non si può però non riflettere sulla latitanza della politica napoletana, sull’assenza di una autorevole stampa cittadina, ma soprattutto sui continui attacchi che la società partenopea subisce, non solo dall’esterno, ma anche dal cosiddetto fuoco amico proveniente dalla sua stessa città. Quasi che avere una società di calcio che rappresenta una realtà lontana dagli standard di inefficienza che caratterizzano la nostra storia cittadina e regionale costituisca una fastidiosa anomalia da combattere più che da aiutare. Come si potrebbe altrimenti inquadrare la frase del sindaco di Napoli di un mese fa al Tg2 Post, con parole che ipotizzavano un accordo sottobanco tra De Laurentiis e le ASL di Napoli per far saltare la trasferta in casa della Juventus, con l’assenza forzata della squadra poi costata una sconfitta a tavolino e un punto di penalizzazione appena confermati dalla Corte di appello della FIGC? Come si dovrebbero altrimenti inquadrare le continue prese di distanza della politica cittadina, di una certa parte dell’intellighenzia napoletana, della stampa locale e della stessa tifoseria azzurra in questi ultimi anni rispetto al Napoli di De Laurentiis?

Una città che non si è mai compattata abbastanza intorno alla sua squadra di calcio, un ambiente che, di fronte ai continui attacchi diretti al Napoli dal mondo del calcio italiano, si è spesso girato dall’altra parte, facendo finta di niente o, peggio ancora, remando contro.

Probabilmente quest’anno, ammesso e non concesso che il campionato arrivi al suo naturale epilogo visti i problemi ben più seri che affliggono l’Italia in questo momento, assisteremo all’ennesimo tentativo fallito dal Napoli di arrivare a quei traguardi che 30 anni fa furono raggiunti anche grazie ad un ambiente che remava compatto dalla stessa parte. Ciò anche per merito della stessa società di allora che, prima ancora di coltivare il terreno sportivo nel quale seminare e raccogliere poi i due scudetti, aveva preparato intorno a sé il giusto terreno di coltura politica ed ambientale che potesse favorire quei successi, onde evitare che gli obiettivi rischiassero di sfumare ancora una volta per cause esterne contrarie al Napoli. Tanto che il leader di quella squadra, Diego Maradona, poteva addirittura permettersi di andare davanti alle telecamere a dire liberamente che lui “i soldi in tasca non era disposto a farseli rubare” senza subire alcuna conseguenza, né mediatica né disciplinare.

Invece oggi ogni episodio controverso dà luogo ad una immediata condanna morale oltre che materiale. Tanto che il Napoli, in una sentenza dalle motivazioni quasi offensive, ne esce fuori come una società di truffatori, dai comportamenti sleali ed illeciti. Il tutto dopo svariati attacchi mediatici già subiti in questo inizio di stagione, dalla positività al Covid -19 di De Laurentiis in poi.

Ora è difficile tornare indietro. Compattarsi oggi significa farlo probabilmente fuori tempo massimo.

In questi ultimi anni abbiamo assistito inermi ad uno scudetto sfilato via al Napoli mentre l’ambiente circostante, allenatore compreso, viveva una perenne ribellione, ma non contro chi gli stava rubando i soldi in tasca (per usare le stesse parole di Diego), bensì contro chi quella squadra l’aveva costruita.

Indimenticabili i frequenti vuoti nel San Paolo, nonostante una politica di prezzi spesso stracciati, cosi come restano indimenticabili i puntuali cori contro il presidente, in una stagione che poteva essere trionfale. Cori che raggiunsero il loro paradossale apice in Napoli-Chievo, una delle partite simbolo di quella stagione sfortunata.

Tutto all’interno di un contesto perennemente insoddisfatto e con un ambiente cittadino che viveva la più florida stagione del papponismo, tra contestazioni per campagne acquisti mai “all’altezza del prestigio della storia del Napoli”, e i continui attacchi interni del suo allenatore Sarri, osannato dal pubblico per questi suoi atteggiamenti ribelli verso la società di cui era dipendente. Quel Sarri che, dopo aver subito uno dei furti più clamorosi nella storia della serie A, con 91 punti sufficienti solo per il secondo posto, si limitò a parlare di “scudetto perso in albergo”, senza il minimo accenno al VAR sabotato ai danni del Napoli per tutta la seconda parte di stagione.

Come dimenticare poi il linciaggio dei due allenatori più prestigiosi mai arrivati a Napoli? Linciaggio locale iniziato ben prima di vederli all’opera, e finito con i conseguenti, quanto inevitabili, cattivi risultati. Risultati favoriti anche da un ambiente che si era messo di traverso.  Nel caso di Benitez con l’accusa di voler insegnare il calcio agli italiani, nel caso di Ancelotti con il sospetto di essere venuto a Napoli per “prendere la pensione e sistemare il figlio”. Mentre nel frattempo il calcio italiano randellava il Napoli con un killeraggio arbitrale che giorno dopo giorno lo allontanava dai vertici della classifica senza che in città nessuno battesse ciglio, anzi, con i tifosi che accusavano il Napoli di “non meritarseli quei rigori”. Tanto che la squadra giusto un anno fa implose, spostando il focus della stagione non più sulle ingiustizie subite, ma sul conseguente ammutinamento. Finito poi con il logico allontanamento dell’allenatore, esonero salutato con festeggiamenti e brindisi osceni da parte chi in città lo aveva pervicacemente contestato sin dalla prima ora. Con l’Italia calcistica che nel frattempo rideva di noi e godeva per il suicidio sportivo della più forte rivale della Juventus in un campionato, che nonostante tutto, poteva essere alla portata del Napoli.

Ora assisteremo ad una nuova puntata di attacchi mediatici anti-napoletani, con tanto di stereotipi, luoghi comuni ed ironie, passando attraverso le ennesime accuse di furberie. E l’aria di sospetto e di fastidio intorno al Napoli non gioverà alla squadra, che dovrà necessariamente chiudersi in una bolla ambientale, oltre che sanitaria. Sperando che queste vicende invece che deprimere, diano nuova forza ad una squadra che forte lo è già probabilmente di suo.

E chissà che anche l’ambiente intorno al Napoli non ritrovi finalmente quella compattezza morale troppo a lungo mancata.

Sempre che il calcio italiano non imploda prima, vittima dei suoi comportamenti assurdi, ben più assurdi di quelli di una società che invece si è sempre cercata di muovere all’interno delle regole, economiche, sportive e sanitarie.

Regole che altre società dichiarano falsamente di rispettare, facendo invece semplicemente i propri interessi e condizionando l’intero sistema calcistico italiano.

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