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Glerean: «A 13 anni un bambino su due lascia il calcio. Sa perché? Perché non si divertono»

L’ex tecnico della Cittadella ad Avvenire: «I pulcini giocano senza classifica per far contenti i genitori. Ma così non si cresce. Nulla serve più di una sconfitta»

Glerean: «A 13 anni un bambino su due lascia il calcio. Sa perché? Perché non si divertono»

Su Avvenire un’intervista all’ex tecnico della Cittadella, Ezio Glerean. Parla del calcio di oggi. Lo definisce

«inquinato e povero di valori»

e per spiegare cosa intende parla del calcio insegnato ai bambini, quelli che forse da grande diventeranno calciatori.

«Il calcio di Cristiano Ronaldo e del Liverpool è un prodotto, uno spettacolo, spesso anche una gioia per chi guarda. Ma a me interessa ragionare sul calcio di chi si avvicina per la prima volta al campo. In Italia il 70% dei ragazzi delle elementari comincia a giocare a calcio. È un numero pazzesco, praticamente un ragazzo su sette. Se ci pensi è come avere petrolio che esce dal rubinetto, ma dopo un po’ il petrolio sparisce. Perché – e questo numero è drammatico – a 13 anni il 50% dei ragazzi ha già smesso. A soli 13 anni, ti rendi conto?. La domanda che ci si deve porre è: perché li perdiamo, questi ragazzi? La risposta che ho provato a dare è questa: non riusciamo a farli divertire, non riusciamo a trasmettere la passione, non siamo abbastanza educatori. Dov’è finito il divertimento nel rincorrere un pallone? Chi lo riconosce ancora? Quelli che ce la fanno finiscono in un club, che magari li tiene quattro-cinque anni e poi li scarica, così ci troviamo ragazzi di 18-20 anni disillusi che vanno a giocare nel campionato Csi e pensano alla birra del dopo-partita. È l’intero sistema che non funziona».

Glerean lancia l’allarme.

«In Federazione non si accorgono di questo, ma se ne accorgeranno tra qualche anno. Stiamo bruciando una generazione di potenziali calciatori. Mancano le competenze per leggere la situazione e trovare soluzioni virtuose. Non è questione di calcio antico e calcio moderno, i tempi cambiano e dobbiamo accettarlo, ma è qualcosa di più decisivo e la colpa è degli adulti, mica dei ragazzi. Faccio un esempio: nelle squadre “Pulcini” c’è la regola che si gioca senza classifica. È un danno, quasi un’offesa. Sono regole per fare stare bene i genitori, non i bambini. Abbiamo messo i nostri figli in una bolla e questo ci consola e rassicura, ma così non si cresce. Nel calcio – a tutti i livelli – sembra che la sconfitta non sia ammissibile, invece non c’è nulla di più utile. Gli educatori dovrebbero insegnare a perdere, dovrebbero cioè far capire quanto preziosi sono gli insegnamenti che derivano da una sconfitta, solo così si formano uomini che poi diventeranno bravi calciatori. Ogni tanto nel grande calcio c’è qualche bella eccezione. Mi sono piaciute le parole di Gasperini, l’altra sera, dopo lo 0-5 in Champions con il Liverpool. Ha detto: “Abbiamo perso, sono stati più forti loro, ma questa sconfitta ci aiuterà a crescere”. Parole chiare, semplici, pulite».

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