Perché con Ancelotti non ha funzionato? Perché i calciatori del Napoli non sono campioni e hanno bisogno di essere bacchettati. Ovviamente è anche una versione di comodo
Mesi dopo, Lorenzo Insigne fornisce la propria versione del rapporto macchinoso tra alcuni calciatori del Napoli e Carlo Ancelotti. Lo fa in un’intervista di Monica Scozzafava al Corriere della Sera. Alla domanda su Ancelotti, Insigne dà forma a una delle tante voci che per mesi si sono rincorse in città. I calciatori del Napoli – sostiene Lorenzo – hanno bisogno del padre padrone (ovviamente piangerebbero lacrime amare di fronte a quello narrato da Gavino Ledda e portato al cinema dai fratelli Taviani), lui dice di essere messi sotto pressione.
«Il mister è abituato a grandi campioni, io gli dicevo sempre che noi avevamo bisogno di essere messi sotto pressione, anche bacchettati se era il caso. Mi rendo conto che la mia è un’autocritica: siamo professionisti, dovremmo camminare da soli, ma noi forse in quel momento avevamo necessità di sentire il fiato sul collo».
Insigne mette nero su bianco che lui non è un campione, e non ha timore di dirlo. Si fa anche portavoce dei compagni: nessuno nel Napoli è un campione. Non teme di rimediare – lui e tutto lo spogliatoio – la figura dello scolaretto che se non ha il maestro che lo punisce, non rende. Chiede, chiedono, di essere bacchettati. Puniti con la frusta. Relegando sempre di più il povero Gattuso del ruolo del sergente maggiore Hartman.
Un’immagine che rimanda, come scrivemmo, ai festini sadomaso di Max Mosley. Ha bisogno, dice di aver bisogno, del metodo bastone e carota. Ovviamente non ci sfugge che la sua è una versione di comodo. Perché poi quando il Napoli volle esercitare il bastone (con il disaccordo di Ancelotti), e decretò il ritiro, gli scolaretti disobbedirono. In una versione più addolcita rispetto a Padre padrone, i giocatori del Napoli sono Mariangela Melato picchiata da Giancarlo Giannini nell’immortale film di Lina Wertmuller. L’esempio forse è più calzante, perché alla fine la Melato, sia pure in lacrime, torna alla sua vita borghese e abbandona quella selvaggia. Il “sodomizzami” resta una parentesi da libro.
C’è un’altra frase di Insigne: “Non sono nessuno per giudicare Ancelotti allenatore che ha vinto tutto e soprattutto quasi ovunque”. Frase che chissà cosa nasconde, ma bene ha fatto a non giudicare, almeno in pubblico. Buon per la sua immagine.
Ovviamente, a nostro avviso, la questione non è riducibile agli scolaretti. Come scritto più e più volte, Insigne – così come Mertens e Callejon – avevano perso la loro centralità. Insigne non era più indispensabile con Ancelotti che del resta era venuto a Napoli per costruire una squadra nuova. Insigne andò in tribuna a Genk. Spesso, la coppia d’attacco era composta da Lozano e Milik. Non è un mistero che Insigne sarebbe dovuto andare via la scorsa estate.
Un’altra verità, forse più credibile, è che Insigne e non solo Insigne si sono battuti per la propria sopravvivenza. E nell’inevitabile braccio di ferro, la società ha preso la sua decisione.