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Gattuso ha sancito che il risultatismo è l’unica cosa che conta

È arrivato a Napoli avvolto da due narrazioni. Una, calcistica, l’ha seccamente smentita sul campo. Resta in piedi quella ringhiesca, per ora

Gattuso ha sancito che il risultatismo è l’unica cosa che conta

L’arrivo di Gattuso a Napoli è stato avvolto da una doppia retorica. Una che resiste ancora. L’altra che è stata inesorabilmente spazzata via. Partiamo dalla seconda. Gattuso è arrivato a Napoli per riportare il leggendario – nel senso di realmente mai esistito – sarrismo calcistico. Oggi Aurelio De Laurentiis rivendica la bontà della sua decisione, ma allora – da produttore cinematografico – in locandina non mise Gattuso bensì il ritorno del sarrismo e del 4-3-3. Concetto su cui è poi ritornato nell’intervista al Corriere dello sport quando ha certificato che a Napoli il calcio è – oggi – questione antropologica.

Dopo la prima stagione, potendo ricorrere alla clausola rescissoria, avrei dovuto dirgli: “Carlo, per me non sei fatto per il tipo di calcio che vogliono a Napoli, conserviamo la grande amicizia, il calcio a Napoli è un’altra cosa.

Che cosa ha fatto Gattuso? Ha cominciato seguendo un allenatore per lui di riferimento: Sarri. Poi, però, dopo quattro sconfitte, si è guardato allo specchio, ha preso atto della realtà e ha salutato il 4-3-3. Ma, attenzione, senza sbandierare la svolta. Dettaglio fondamentale. Ha piazzato Demme – acquisto da lui voluto – davanti alla difesa e nelle partite più importanti ha varato il doppio pullman che lui chiama densità, altri catenaccio. Insomma si è barricato. Che piaccia o no. Applausi. Non poteva fare altrimenti. Ha dimostrato senso pratico. E in questo ha beneficiato del lavoro di depurazione dal sarrismo svolto da Ancelotti.

Così giocando, ben attento a non scoprirsi, chiudendo tutte le linee di passaggio, per usare il suo linguaggio, Gattuso ha innanzitutto dato sicurezza a una squadra smarrita, l’ha ricompattata, e sul campo ha battuto l’Inter a Milano, la Juve in campionato e poi in Coppa ha pareggiato col Barcellona in Champions (in finale di Coppa Italia, il Napoli ha giocato così solo la prima mezz’ora). Ma non solo. Gattuso a Napoli ha tanti meriti. Ma ce n’è uno che non riguarda solo il Calcio Napoli ma una più ampia discussione che incredibilmente va avanti da anni.

Gattuso ha reso evidente che il dibattito giochisti-risultatisti è una panzana colossale. È un non-sense. È una discussione contronatura. Come se dessimo il via al dibattito: preferisci mangiare solo ostriche oppure alle brutte, se stai morendo di fame, butti in corpo pure il merluzzo che di solito rifili al gatto?

È il risultato la misura di tutte le cose. Sempre. È il risultato che fa esultare i sarriti quando il loro profeta vince l’Europa League rinnegando il suo credo. Se così non fosse, i tifosi del Napoli dovrebbero ritrovarsi di fronte al dilemma: e ora che si fa? Si esulta lo stesso o dobbiamo vergognarci di esserci rintanati? La domanda non si pone, ovviamente.

A noi Gattuso sembra un pragmatico. E per noi è un complimento. Uno che sì, magari in linea teorica predilige un certo tipo di gioco, preferisce Ospina a Meret per il gioco con i piedi. Ma che poi, nel giro di poche partite, passa ragionevolmente dal gol preso a Roma con la Lazio per non aver buttato il pallone in tribuna, al lancio-assist di Ospina per Insigne in semifinale di Coppa Italia contro l’Inter. Ed è una nota di grande merito. L’esatto contrario dell’integralismo. Come si dice? Impara l’arte e mettila da parte. Via le ostriche e giù col merluzzo.

Oggi in tanti sono costretti ad arrampicarsi sugli specchi per non ammettere, molto candidamente, che Gattuso – al momento – è un esponente della incomprensibilmente bistrattata scuola di calcio all’italiana. Grazie a cui, ricordiamolo, e contribuendo non poco alla causa, Gattuso ha alzato una Coppa del mondo.

Resta, però, la prima narrazione. Gattuso come Ringhio. L’uomo tutto d’un pezzo, che non fa sconti a nessuno. Integerrimo. L’immagine che rientra perfettamente nelle stereotipo calcistico, un’altra faccia dell“andate a lavorare”. Pare, così abbiamo letto, che i giocatori del Napoli desiderassero un tecnico che fosse un duro nei modi e nel linguaggio. Un passaggio che scatena fantasie erotiche. Il pensiero corre ai festini col frustino di Max Mosley. O ai giocatori del Napoli nei panni di Mariangela Melato che implorano a Giancarlo Giannini: “sodomizzami”. A noi, francamente, sembra una immagine grottesca. Sminuente per lo stesso tecnico calabrese ridotto quasi a domatore, con tutto il rispetto per i domatori. Anche se Gattuso, diciamolo, non fa nulla per smentire questo filone che molto ha contribuito alla sua immagine e che – per dirla alla Enrico Manca – fa così tanto nazional-popolare.

Chi lo conosce bene, giura che lui soffra quando viene chiamato Ringhio. Come se, appunto, non fosse presa nella dovuta considerazione la sua grande applicazione, il suo continuo studio del gioco del calcio, l’applicazione nel visionare gli avversari. Insomma il suo lavoro. Che consiste anche nell’avere un modo diverso di rapportarsi ai calciatori.

La sensazione è che Gattuso sia a metà del guado. E che lui, con ogni probabilità, voglia rimanere lì. Lascia che la narrazione faccia il suo corso, in qualche modo la asseconda, perché non è stupido e sa che anche quella narrazione ha contribuito al suo successo. È da vedere se arriverà un giorno in cui quella narrazione potrà essere un limite per lui. Non lo è e non lo sarà a Napoli, questo è certo, ma Napoli è una piazza che fa poco testo. È una piazza eccezione, come abbiamo già visto con allenatori che una volta entrati in Tangenziale – direzione Capodichino – ha smesso i panni dell’agit-prop.

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