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Mio figlio ha mescolato Bundesliga e Youtuber. E alla sanificazione del pallone, ha detto: «Figo!»

Il sabato pomeriggio che ha rotto la monotonia della panificazione. Mentre io facevo l’umarell e osservavo schifato questo cantiere di calcio post-qualsiasi cosa

Mio figlio ha mescolato Bundesliga e Youtuber. E alla sanificazione del pallone, ha detto: «Figo!»

L’ispettore Derrick

Mio figlio guarda la Bundesliga, io no. La guardava anche prima, non è una deriva da quarantena. Io quando avevo 9 anni passavo molto tempo con nonna, e nonna era una fan dell’ispettore Derrick. Per me la Germania ha sempre avuto quel color seppia lì, molle e piatto. Il pantone della tristezza. Per cui anche il calcio, dopo, è rimasto coinvolto in un pregiudizio preadolescenziale. Ma mio figlio aspettava Haaland per staccarsi dalle repliche della motogp, con l’ansia del bambino a cui hanno tolto i tre allenamenti settimanali di basket ma non i compiti. Eccitazione, non noia.

La routine spezzata

La Bundesliga è ripiombata nel mio salotto a metà maggio, mentre ancora la Serie A s’affanna a raggranellare le solite figuracce tra tira e molla protocollari. I tedeschi – benedetti cliché – fanno i fatti (il dibattito che ne segue resta comunque su livelli per noi impensabili). Una volta lo avrebbero chiamato il bello della diretta, ma questa è – forse – bella perché è anche l’unica diretta possibile, dopo mesi di repliche. Di tutto, mica solo del palinsesto sportivo: e la videochiamata coi nonni, e le orge d’affetti e malinconie su Zoom, e la panificazione al venerdì e lo staglio delle margherite al sabato. Routine spezzate da questa botta di pallone, caduto al centro di un mondo in astinenza. Persino le chiese riaprono, per la “sana” messa che almeno placa la parte spirituale della domenica. Il calcio pagano non ci è (ancora) concesso, nemmeno in questa forma abbrutita che va contro i tifosi, l’epidemiologia e il senso del pudore. E, dunque, ecco la Bundesliga in monopolio.

Come la partitella del giovedì

Ad un certo punto – ero in un’altra stanza – m’è parso di sentire il vociare tipico della rissa incombente, mi sono affacciato alla finestra per controllare. Ma era invece l’eco di uno stadio tedesco con i giocatori in campo che s’urlavano qualcosa in tedesco, senza il frastuono del pubblico che quelle voci di solito copre. Le partite sono sempre state un film muto con una colonna sonora di contesto: i giocatori – esattamente come facevate voi al calcetto del lunedì – gridano, rimbrottano, grugniscono, festeggiano, s’incazzano. C’eravamo abituati ad interpretarne il labiale, tanto che quelli erano finiti per dirsi le peggio cose con la mano a cucchiarella davanti alla bocca. Dove ora hanno la mascherina, almeno quelli seduti in panchina. Così, in questa versione posticcia e anticlimatica, la partita di campionato diventa la partitella a porte chiuse del giovedì: lo stesso imbarazzante appeal di sughero. Con l’audio invertito, le voci di dentro che t’arrivano in tinello sgranate, una ad una, proprio come se Lello del bar sotto casa si stesse accapigliando con Ciro il benzinaio. L’acustica tradisce questo senso di estraneità. Ma io sono vecchio, e dopo un po’ ho preso posizione davanti alla tv, a fare l’umarell, con le mani incrociate dietro la schiena a osservare un po’ schifato questo cantiere di calcio post-qualsiasi-cosa.

La cronaca, il tabellino, i gol, la classifica, non importavano. Dopo due mesi di sabati passati a far lievitare cose che prima compravamo più saporite a 3 euro in attesa del Conte-show, il calcio s’è ritirato in uno stanzino. Timidamente riposto nella parte “professionale” dell’anima. Se ne può fare a meno, o non siamo pronti ad ammettere che invece abbiamo subito una privazione inaccettabile e la neghiamo anche a noi stessi, chissà. La morale ha un ruolo in tutto questo, ne sono certo, fa pressioni, mette in relazione la sofferenza delle persone e il divertimento, caricandoci tutti di sensi di colpa. Per cui io ho riguardato tutti i gol di Mertens nel suo “day” su Sky, commosso e pentito. Ma poi basta. Scusate, torno a soffrire e disinfettare, come maturità impone.
Ma mio figlio, che è oggettivamente giovane e di tutte queste pippe mentali non sa che farsene, ha mescolato la diretta-gol della Bundesliga con un paio di Youtuber dei suoi. Ha detto qualcosa riguardo al fatto che uno ad un certo punto ha offerto la mano all’avversario in terra per aiutarlo a rialzarsi, tipo “ma non si può!”. Non ha battuto ciglio davanti alle esultanze distanziate con un certo imbarazzo, e nemmeno alle telecamere che indugiavano sulla sanificazione dei palloni. “Beh, se giocano così in Italia è fico, così sentiamo che si dicono i giocatori”. Mi sa che è arrivato il momento di spiegargli cos’è una bestemmia.

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