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Mertens piace perché con ogni allenatore ricomincia sempre da tre

Alla base del legame con Napoli c’è soprattutto la dedizione e l’impegno del belga che ogni volta ha dovuto conquistarsi i meriti sul campo

Mertens piace perché con ogni allenatore ricomincia sempre da tre
Salvatore Laporta / KontroLab

Dries Mertens è uno strano caso. Sta per firmare il contratto che lo legherà al Napoli almeno per altre due stagioni, si arriva così a nove. Ha segnato 121 gol. Gliene basta uno per staccare Hamsik e diventare il più prolifico marcatore azzurro di tutti i tempi.

In tanti si chiedono del rapporto che lega Mertens a Napoli. Palazzo Donn’Anna celebrato da La Capria, l’aver vissuto la città fino a impararne il dialetto, il secondo nome Ciro che lo accompagna. Questo, però, è il contorno. La sostanza sono la dedizione e l’impegno: caratteristiche che legano quasi tutti i tifosi ai propri calciatori. Funziona anche per Mertens che ha sempre dovuto lottare per conquistare i suoi successi. Nessuno gli ha mai regalato nulla. Di lui si ricordano non solo le perle balistiche, anche le gambe a mulinello alla Asterix. Soprattutto nei ripiegamenti difensivi. Pure quando era l’uomo in più dalla panchina. Non è mai entrato per guardarsi la partita. Questo fa la differenza, soprattutto se l’agonismo si coniuga alla qualità. Dai l’anima in campo e poi segni al Real Madrid, al Barcellona, al Psg, al Liverpool. Non male.

Basta dare una scorsa alla vita professionale di Mertens a Napoli per rendersi conto che ogni volta è sempre dovuto ripartire quasi da zero. Diciamo che ha sempre ricominciato da tre. Anche questo resta nel cuore dei tifosi che sono uno strano animale. Il tifoso rende vivo l’inganno del calcio che è sì un’industria – come si ostinano oggi a dire presidenti, dirigenti e giornalisti – ma è un’industria particolare. Al tifoso piace immaginare che quel determinato calciatore dia l’anima perché legato a quei determinati colori. Nessuno ci crede, neanche il tifoso. Ma se si smonta l’architrave, se il calcio viene presentato come una professione qualsiasi, viene meno la magia. Per rimanere a Troisi, stavolta cambiando film, verrebbe da dire: “e allora com’è che non l’amo più?”.

Mertens incarna il calciatore che si è fatto da sé. Che si è conquistato tutto sul campo. E i fatto gli hanno dato  ragione. Arrivò con Benitez nell’estate del 2013. Qualcuno lo conosceva, ci segnò un gol in Europa League. Qualcun altro ironizzava sull’assonanza con Freddy Mertens ciclista degli anni Settanta. Tanto per cambiare, cominciò in panchina: 25 agosto, Napoli-Bologna 3-0. Giocò gli ultimi 19 minuti, subentrò ad Hamsik. Partì titolare alla terza partita, contro l’Atalanta, ma il Napoli la sbloccò dopo la sua uscita (per Callejon che segnò). Con Rafa giocava: per dieci volte, 90 minuti; 17 volte titolare. Ha giocato più il primo anno che il secondo. Quasi duemila minuti contro 1.679, in Serie A.

Nel 2015 ecco Sarri. La prima fu da titolare, a Sassuolo. Poi, però, fondamentalmente sparì. In campionato poco più di mille minuti: due volte tutta la partita, sei da titolare. Una comparsa.

Sarebbe andata allo stesso modo se Higuain non fosse andato alla Juventus. Ciononostante la prima scelta per il post-Higuain non fu lui. Fu la terza. Primo Milik. Secondo Gabbiadini. Terzo Mertens. In realtà Mertens era non classificato. Era sempre il secondo di Insigne. Sarri rimase a lungo sotto shock per la partenza di Gonzalo. Dries, tanto per cambiare, comincia in panchina a Pescara. Al 53esimo, sotto di due gol, Sarri mandò in campo lui e Milik al posto di Insigne e Gabbiadini. Dries segnò una doppietta e guardò torvo verso la panchina. Partì titolare la partita successiva, col Milan, che però lanciò il polacco che realizzò una doppietta. Panchina con Palermo, Bologna, Chievo, Atalanta, Roma. Nel frattempo, Milik si fece male e Gabbiadini si autoeliminò. Sarri si ritrovò senza scelta. Sappiamo tutti come andò a finire: 2.500 minuti e 28 gol: una quaterna, due triplette e tre doppiette (oltre a quella di Pescara). Pur di non ammettere che era un centravanti vero, gli affibbiarono l’etichetta di falso nueve. L’ultimo anno di Sarri fu titolarissimo. Giocò talmente tanto che arrivò a maggio col fiatone. Era diventato Mertens.

Nel 2018, ecco Ancelotti. In realtà, a dispetto di tante cose scritte e dette, Dries ha giocato e segnato spesso con il leader calmo. Ha segnato 16 gol al primo anno in Serie A e realizzato gol importanti in Champions. Anche con Ancelotti, però, cominciò dalla panchina. A Roma contro la Lazio. E poi in casa contro il Milan di Gattuso: entrò sull’1-2 e completò la rimonta segnando il gol del 3-2. Anche in Champions le prime due le cominciò in panchina e poi giocò titolare le restanti quattro.

Anche con Gattuso l’inizio è stato in salita. Panchina contro il Parma. Panchina contro il Sassuolo. Poi quattro partite saltate per  infortunio. Panchina con la Sampdoria. Panchina col Lecce. Eppure pare che Gattuso abbia fortemente spinto per il rinnovo. Forse sa che Dries sarebbe sopravvissuto anche a lui.

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