«Illegittimo il taglio unilaterale stipendi. Infondata la paura di ricorsi in caso di stop alla Serie A»

L'esperto di diritto sportivo Paco D'Onofrio a Repubblica Bologna: «I calciatori sono dipendenti, serve un accordo. La Fase 2 prevederà distanziamento e mascherine, come giocare?»

Napoli Juventus

during the Italian Serie A football match SSC Napoli vs Fc Juventus. (Hermann)

Su Repubblica Bologna l’intervista a Paco D’Onofrio, docente e avvocato bolognese, esperto di diritto sportivo. La decisione unilaterale della Lega sulla riduzione degli stipendi non è praticabile, secondo lui.

«Un conto è l’etica, un conto è la legge. Perché i contratti ai calciatori non sono contratti a cottimo. Ci sono sempre due parti, ormai, quella fissa e quella variabile. Quest’ultima può essere legata a mille aspetti, come si sa. Volendo, questa parte è a cottimo. Ma quella fissa no: l’accordo collettivo non prevede alcuna riduzione in caso di mancata disputa di un certo numero di partite».

Il coronavirus non era prevedibile, ma la mancata prestazione non è a carico del lavoratore.

«Fa parte del rischio d’impresa. Voglio dire: se un calciatore si rompe il menisco, la società continua a pagarlo per intero».

Il rapporto di dipendenza tra calciatori e club esiste ancora, nonostante non si giochi.

«Se quel rapporto non ci fosse, i giocatori potrebbero tornare a casa loro, anziché seguire le direttive impartite dai club, parlo di diete ed esercizi fisici. Dunque, il rapporto di dipendenza lavorativa permane, eccome».

Il taglio unilaterale, deciso d’imperio, come vuole la Lega, non è una strada praticabile.

«E infatti il problema non viene risolto, perché il taglio unilaterale è illegittimo. Nell’accordo collettivo non è prevista alcuna riduzione di ingaggio nel caso di mancato impiego. Non è un caso che il presidente Gravina, un dirigente che sa dimostrarsi sempre lucido, abbia auspicato una soluzione ragionevole e consensuale».

Serve trovare un accordo, come ha fatto la Juventus.

«La Juve, coi suoi accordi privati, ha scelto la strada giusta. Al di là del fatto che, essendo quotata in Borsa, doveva dare un segnale ai mercati. Poi ogni club ha i propri equilibri, mi riferisco ai diritti d’immagine, a quelli tv, agli sponsor, alla vendita dei biglietti. Servono criteri propri, specifici ed autonomi».

Sulle dichiarazioni di Gravina, che è intenzionato a far ripartire il calcio:

«Il presidente fa bene a dire che bisogna tenersi pronti in caso di ripartenza, ma non a caso ipotizza anche la possibilità di concludere il campionato in autunno. Del resto in Cina il calcio è ancora fermo, nonostante siano più avanti di noi di un paio di mesi nella ripresa del Paese. Poi la fase 2, che potrebbe estendersi fino all’autunno, di certo prevederà il distanziamento sociale e l’uso delle mascherine per quasi tutti. Mi spiegate come si può giocare?».

L’avvocato si schiera a favore del no, e prosegue:

«Fra l’altro, se si dichiara subito chiusa la stagione si può più facilmente convincere l’atleta a ridursi la paga. Perché la dipendenza lavorativa in quel caso cessa. O se ne compromettono due, questa e la prossima».

Infine si esprime anche sulla possibilità di ricorso dei club, come il Brescia che, quasi retrocesso, non vuole ripartire e il Benevento che, quasi in A, scalpita invece per farlo.

«Altro cavallo di battaglia del momento. Ma queste società a chi lo presenterebbero il ricorso? Riflettiamo: se il campionato viene fermato, ci sarà una delibera del consiglio federale. E il giudice sportivo ne prenderebbe atto, rigettando il ricorso. Il Tar del Lazio, come ha ampiamente dimostrato un paio d’anni fa a proposito della mancata iscrizione di alcuni club, non intende intervenire in vicende federali domestiche. Mettiamoci nei panni dei giudici statali: secondo voi prevarrà la logica del risultato sportivo o quello della prudenza sanitaria? Mi sembra evidente la risposta».

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