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Tpi: Bergamo ha sottovalutato ed è diventata l’epicentro del coronavirus (contano anche gli industriali)

Dopo Codogno, il secondo focolaio è partito dall’ospedale di Alzano. Nulla è stato fatto per fermarlo fino all’8 marzo. Bloccare tutto avrebbe voluto dire bloccare l’economia e le aziende non volevano

Tpi: Bergamo ha sottovalutato ed è diventata l’epicentro del coronavirus (contano anche gli industriali)

Su Tpi un focus su Bergamo, l’epicentro del coronavirus in Italia. Dove ormai i numeri non hanno più alcun significato, dato che sono in tanti a morire nelle case, che non arrivano neppure negli ospedali, non vengono conteggiati. A Bergamo non c’è nemmeno posto per le bare, tanto che vengono portate in altre regioni. E potremmo continuare per pagine e pagine a raccontare lo scempio della carneficina provocata dal Covid-19. Ma perché proprio Bergamo?

Francesca Nava, autrice dell’articolo, prova a fare delle ipotesi. Il focolaio lombardo – il secondo dopo Codogno – è divampato ad Alzano Lombardo, nella Val Seriana, che, insieme a Nembro, ha il record di contagi da Covid-19.

Il 23 febbraio, quando il focolaio di Codogno era scoppiato da due giorni, all’ospedale di Alzano vengono accertati due casi positivi. Uno di essi passa per l’affollato pronto soccorso.
“L’ospedale viene immediatamente “chiuso”, per poi riaprire – inspiegabilmente – alcune ore dopo, senza che ci sia stato “nessun intervento di sanificazione e senza la costituzione nel pronto soccorso di triage differenziati né di percorsi alternativi”, come denunciano due operatori sanitari che chiedono l’anonimato”.

In una lettera inviata al quotidiano Avvenire, i due raccontano che nei giorni successivi emersero diversi casi di positività tra gli operatori sanitari, anche asintomatici. E aggiungono che pochi giorni dopo le disposizioni cambiano e che

“tutti i contatti stretti delle persone accertate positive non vengono più sottoposti a tampone se asintomatici”.

In pratica non si delimita il contagio, anche in considerazione del fatto che la maggior parte delle persone transitate per l’ospedale, uscite da lì senza diagnosi e ignare dei casi di contagio, continuano a fare la loro vita, tra lavoro, famiglie, aperitivi, spesa, palestra e parco e a spostarsi all’interno della regione e fuori, anche con settimane bianche. Non a caso, proprio nelle località sciistiche, si registra un’impennata dei contagi.

Tutto questo mentre, all’ospedale di Alzano Lombardo, si ammalano un po’ tutti. Alcuni pazienti entrano con una frattura ed escono morti per Covid-19. E, da lì, il contagio si allarga a tutta la provincia, velocemente.

Una settimana dopo si capisce che la situazione è grave. I contagi aumentano esponenzialmente, soprattutto a Nembro. Molti chiedono una zona rossa come quella di Codogno. A partire dai sindaci. Lo conferma il sindaco di Alzano, Bertocchi.

“Abbiamo capito da subito che la situazione era seria e infatti insieme ad altri sindaci abbiamo emesso immediatamente delle ordinanze urgenti per stringere le maglie di quella ministeriale. Non so se si ricorda ma nella stessa città di Bergamo si invitava la gente a tornare nelle strade a sostenere le attività, a prendere i mezzi pubblici, mentre noi consapevoli della criticità avevamo preteso fermezza. È stato un momento non semplice, perché i nostri operatori e commercianti si chiedevano perché la gente a Bergamo potesse fare ciò che voleva, mentre il sindaco di Alzano li costringeva a chiudere a una determinata ora. Per il semplice motivo che noi avevamo inteso la gravità e il principio era: regole rigide subito per uscirne il prima possibile”.

Tra il 23 febbraio e l’8 marzo nulla è stato fermato. La vita è continuata normale in tutta la Val Seriana.

Persino quando il decreto governativo ha concesso alle società sportive di restare aperte, il sindaco Bertocchi le ha invitate a chiudere, per salvare migliaia di ragazzi impegnati tra pallavolo, calcio e pallacanestro.

Il sindaco continua:

“Abbiamo cercato risposte e non le abbiamo avute: né dal governo, né dalla prefettura, non abbiamo capito perché si siano aspettati tutti quei giorni. In quei 4 giorni la gente era più interessata a capire se c’era o no la zona rossa e non era interessata a contenere i contagi. Non c’era la percezione del pericolo e questa incertezza non ha giovato alla nostra missione che era quella di contenere l’epidemia. Arriverà il momento in cui capiremo che cosa è successo”.

Centrale, per capire come mai non si sia fermato subito tutto, scrive la Nava, è il nodo economico. Una zona rossa tra Alzano Lombardo e Nembro avrebbe significato bloccare 4mila lavoratori e 376 aziende, con un fatturato da 700 milioni l’anno.

Tpi scrive:

“Colossi come la Persico Group (nota per gli scafi di Luna Rossa per l’America’s Cup) o la Polini Motori si sono trincerate dietro un no comment. Eppure sono molti gli imprenditori che hanno palesato il timore che un isolamento forzato del loro territorio li avrebbe danneggiati irrimediabilmente”.

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