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Mertens il bomber costretto ogni volta a ripartire da zero

Ha convinto Benitez, Sarri, Ancelotti e ora Gattuso. Ha infilato gol e record. Ha segnato al Real, al Liverpool e al Barcellona. Eppure sembra non bastare

Mertens il bomber costretto ogni volta a ripartire da zero

L’incubo di Dries Mertens sono i deja-vu. Quel brivido sottopelle che innesca il cervello quando rintraccia nei ricordi un evento, ma non riesce ad acchiapparlo davvero. L’abbiamo già visto, Mertens, prendersi il Napoli, ne siamo quasi certi. Il gol al Barcellona è il gol al Real Madrid, è la doppietta al Salisburgo che ha abbattuto il record di Maradona, sono i due gol al Liverpool. E’ un giorno della marmotta che s’impone come una tradizione riciclata: Mertens re di Napoli per acclamazione a tempo determinato: un paio di titoli buoni, statistiche aggiornate e si torna al punto di partenza.

121 gol ieri, e non sentirli. Oddio, lui li sente tutti. Sono gli altri che gli resettano il credito ogni volta. Tipo 50 volte il primo bacio, solo che lui sta a 121, e ora c’ha pure un’età. Dovremmo chiedergli tutti scusa, prima o poi. Per avergli negato una costanza di meriti che la buona stampa ha riservato ad altri. Per averlo messo in discussione sempre, lodando ogni volta la sua rivincita  in maniera un po’ gratuita, dandola per scontata. Facendogli scontare, anzi, una carriera da “impostore” tattico: un nueve vero bollato “falso” per pigrizia lessicale, per tic giornalistici.

Dries Mertens ha segnato il gol che lo impone come bomber più prolifico della storia del Napoli in Champions League, contro il Barcellona. Introdotto nell’ombra di un – forzato – duello a distanza tra Insigne e Messi, se non nella distorsione temporale della sfida Messi-Maradona. Dalla ruota è uscito di nuovo Mertens. La ruota che gira sempre, e dopo un po’ lo riporta giù.

Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso. Ogni volta che un nuovo allenatore ha preso la guida del Napoli Mertens s’è ritrovato nelle retrovie. Un destino. E ogni volta, senza sbraitare, ha ribaltato tutto, prendendosi il posto col lavoro, i gol, la grinta. Ogni volta. Per l’ennesima volta ieri.

“Sì, ma Insigne difende meglio”, dicevano. Oppure “rende meglio quando entra a partita in corso”. Sono i tormentoni della sua carriera a Napoli. Superati dall’abusato bisogno di “un attaccante di peso”, che lui leggerino com’è, ha dovuto combattere insistendo su altre qualità.

Centoventuno gol fa, c’erano indizi ovunque. Nel primo gol in serie A di Mertens c’è il centravanti che nessuno ha mai visto. Il 30 ottobre 2013, a Firenze, sull’1-1 prende palla sulla trequarti in posizione centrale, triangola con Higuain, entra in area e segna. Il conto alla rovescia finisce lì, sette anni fa.

“Benitez ci rende migliori”, dice quell’anno in cui raccoglie 22,4 passaggi di media, 5 assist e 1,6 passaggi chiave a partita. Tira 2,6 volte in media ogni partita, solo Higuain fa meglio. Ma “Insigne difende meglio”,  e poi “incide di più quando entra a partita in corso”. Finisce il suo primo campionato azzurro con 11 gol, da riserva. Nel secondo anno di Benitez, quello abbacchiato, si ferma a 6. Tira meno (1,9 conclusioni di media), ma a parità di passaggi e di occasioni create, serve più assist.

Proprio mentre Mertens comincia a costruire l’altro Mertens, arriva Sarri. Riserva era e riserva resta, di Insigne. Figurarsi, Sarri ha i “titolarissimi”. Gli concede 1086 minuti in campionato, dodicesimo minutaggio della rosa, solo 6 partite da titolare. Fa in tutto 5 gol in 31 presenze smozzicate.

La storia ormai la conosciamo tutti, per il giro improvviso che prende quando va via Higuain, Milik si fa male subito e Gabbiadini fa flop: la mossa della disperazione di Sarri spacciata per “intuizione”:

“Su di lui abbiamo sbagliato tutti, me compreso, era già un attaccante centrale nato dopo un mese e noi lo ritenevamo un fenomeno a partita in corso…”

L’ammissione postuma del tecnico non cambia – incredibilmente  – la traiettoria del belga. I numeri restano un’appendice, eppure sono numeri “parlanti”: il primo giocatore dal 2014 a segnare 4 gol nella stessa partita. Il primo giocatore a realizzare almeno una tripletta in due partite consecutive di Serie A dal 1994-95. Il primo giocatore dal 1955 a realizzare 7 gol in 2 partite. L’ultimo era stato Gunnar Nordahl. Ha segnato la quarta tripletta più veloce della storia della Serie A, meglio di lui solo Valentino Mazzola in 2 minuti contro il Vicenza nel 1947, Pietro Anastasi contro la Lazio nel 1975, Marco van Basten contro l’Atalanta nel 1992.

Non vince il titolo di capocannoniere per un’inezia: un gol sotto i 29 di Dzeko. Ma si prende un altro record: nel 2017 partecipa a 35 reti, ne segna 24 e ne fa segnare 11.

Quel Mertens lì è lo stesso che quando arriva Ancelotti diventa superfluo nel 4-4-2. Insigne viene estirpato malvolentieri dalla mattonella del “tiraggiro”, e spostato a fare la seconda punta dietro Milik. Mertens scivola col curriculum farcito di gol in una voragine tattica. E’ uno dei migliori bomber d’Europa, nel pieno della maturità. Ma non strepita, non si lascia andare, non soffre di “mal di pancia”. Si mette sotto e lavora. Ancelotti osserva, e alla fine della stagione gli avrà consegnato 35 presenze ricevendone in cambio 16 gol in campionato e 11 tra Champions ed Europa League.

E’ fatta? Macché… ha il contratto in scadenza. E’ un macigno. De Laurentiis a inizio campionato lo trasformerà in un reprobo che “vuole andare a fare le marchetti in Cina”. Si ritrova invischiato nell’inedito ruolo di caporivolta nella notte dell’ammutinamento. Nel frattempo segna contro il Liverpool, due volte, firma la vittoria e il pareggio che mandano il Napoli agli ottavi di Champions. Poi segna una doppietta al Salisburgo per agganciare e superare Maradona nella gara ai gol con la maglia del Napoli.

Di nuovo: è fatta? Ma figurarsi… Ancelotti viene esonerato, arriva Gattuso. E la prima cosa che fa, Gattuso, è re-installare il 4-3-3, inchiodare Insigne al suo piedistallo a sinistra, e “leggere” Mertens come riserva di Milik. Il gioco dell’oca ricomincia, si passa dal via. Mertens, quello che ha fatto più gol di Maradona, scompare. Non fiata, infila un piccolo infortunio dietro l’altro, e da desaparecido affronta il mese di mercato aperto. Lo vendono un giorno sì e l’altro pure. Ma lui resta: non ha rinnovato il contratto, ma non accetta altra casa all’infuori di Napoli.

Torna in campo. Gattuso – come Benitez, come Sarri, come Ancelotti – finalmente lo scopre. Centravanti. Milik in panchina. Eccolo il deja-vu. Il gol al Barcellona, il record a braccetto con Hamsik. Quante volte ancora lo snobberemo? Quanto dura questo giorno della marmotta? Appuntiamocelo, una volta e per sempre: centoventuno volte il primo Mertens, per non dimenticare.

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