Idolo ad ottobre, poi la rivolta, gli infortuni e l’invisibilità. Da campione iconico a riserva di Insigne, Dries ha rischiato di andar via a soli 3 gol dalla storia
Il Chelsea, l’Inter, il Barcellona. In prestito, col diritto di riscatto, senza riscatto, con l’indennizzo, a parametro zero, con la contropartita. E poi l’accordo, il disaccordo, il rinnovo, ma niente di nuovo. I numeri, zero, 4, poi 5, ma lui ne vuole 7,5, e gli inglesi offrono 10.
Il mercato chiude il giorno di San Ciro, e Dries Mertens sta ancora qua. E’ sopravvissuto ad un mese tritacarne, restando a Napoli non si sa bene in che veste. Se da separato in casa, da fantasma logorato dagli infortuni ormai cronici. O da idolo in ombra, lacerato dalla crisi, leader della sommossa poi riposto in infermeria appena arrivato Gattuso. In attesa di un contratto che lo legasse alla città che ama – perché la ama – mentre già a settembre veniva additato come uno che vorrebbe andare a fare le marchette in Cina.
Appena lo scorso ottobre Mertens è entrato nella storia del Napoli. Ha messo il suo nome al fianco di Maradona. Amato dai tifosi per i modi da scugnizzo e i gol che ha distribuito a frotte dal 2013. Era una bolla. Gli è scoppiata in faccia. La carriera in azzurro non è bastata a sfilarlo dall’autunno infernale, e s’è ritrovato a chiudere il giro – di nuovo – come riserva di Insigne, o di Milik. Mertens, e tutti i suoi record, in panchina. Un giorno della marmotta belga.
Chi ama non dimentica, com’era l’adagio? Non era vero amore, dunque, quello dei napoletani, perché un po’ l’hanno dimenticato. Si sono assuefatti a vederlo nel ruolo del ribelle capopopolo, e poi ne hanno accettato il ridimensionamento senza alzare un sopracciglio, mimica facciale ormai vietata da queste parti. Il tutto in tre mesi. Una indifferenza manifesta che ha rafforzato la percezione di una storia ormai esausta, quasi scaduta sul più bello.
Non si sa bene, nel fumo della chiusura di mercato, cosa alla fine abbia lasciato Mertens a Napoli. Se i no del giocatore, i no della società, o magari quei 3 gol che gli mancano per raggiungere Hamsik e dirsi il giocatore più prolifico della storia del Napoli.
Ancora la storia, sempre la storia. Quella che, romanticismo a parte, è diventata quasi un fastidio, roba per mammolette: ballano i milioni, le clausole contrattuali, date in pasto al tifoso che un attimo dopo diventa fiscalista, manager, contabile, persino censore dell’etica altrui. Mertens è passato dal fotomontaggio sulle spalle di Maradona alla presenza inquadrata di sfuggita in tribuna col cappello e gli occhiali alla Hamsik, una frattaglia di memoria mentre Insigne correva a riprendersi il palco.
Abbiamo rimosso il Mertens iconico, e tutti i suoi numeri. Come se non fosse lui quello che ad un certo punto prese a segnare una rete ogni 23 minuti e mezzo, il primo giocatore dal 2014 a segnare 4 gol nella stessa partita. Il primo giocatore a realizzare almeno una tripletta in due partite consecutive di Serie A dal 1994-95. Il primo giocatore dal 1955 a realizzare 7 gol in 2 partite, ché l’ultimo era stato un certo Gunnar Nordahl.
Mertens ce l’ha ancora il Napoli. Come prima, magari meno di prima. In un limbo affollato di attaccanti nuovi e vecchi: lui, Insigne, Milik, Callejon, Politano, Llorente, Younes e pure Petagna, almeno formalmente. Uno tra tantissimi. Ha bisogno di tre gol appena per appuntare il suo nome alla memoria di Napoli una volta e per sempre. A dispetto di tutto il resto.