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Sarri torna a Napoli da trionfatore politico

Trova una città permeata di sarrismo, una squadra a pezzi, De Laurentiis convertito che ha liquidato Ancelotti in nome del 4-3-3, tifosi fermi a due anni fa. Che lo fischino o meno, ha vinto lui

Sarri torna a Napoli da trionfatore politico

Sarà fischiato? Applaudito? Ignorato? Non lo sappiamo. Quel che sappiamo, però, è che Sarri torna a Napoli da vincitore. Da trionfatore. Su tutta la linea. Quasi due anni dopo, trova una squadra distrutta, nella parte destra della classifica, con tutti i calciatori in causa con la società, un allenatore – Gattuso – che è stato ingaggiato proprio per tornare a giocare come faceva lui, e un presidente – Aurelio de Laurentiis – che con un anno e mezzo di ritardo è stato folgorato sulla via del sarrismo, ha messo alla porta Ancelotti e ha cominciato a magnificare il ritorno al 4-3-3. Ah, dimenticavamo, il sarrismo sta anche per entrare in Parlamento, o almeno ci prova, con la candidatura di Sandro Ruotolo al Senato. E guai a citare gli ottavi di Champions o la vittoria sul Liverpool, i tifosi del Napoli si arrabbiano, si girano inferociti.

I fatti sono questi. Anche per chi, come noi, non è  mai stato folgorato da Sarri (per usare un eufemismo). Ma noi non facciamo testo, siamo minoranza in questa città. Capimmo dopo trenta secondi l’impiastro retorico-populistico che contraddistingueva l’allenatore venuto dall’Empoli. Così come l’irripetibilità di quel ciclo calcistico. Il suo passaggio alla Juventus non ci ha per nulla sorpresi. Come abbiamo più volte scritto, ci sarebbe andato a nuoto sfidando i coccodrilli. Ma non è questo il punto, di questo abbiamo scritto a sufficienza la scorsa estate.

Il punto è che Napoli è permeata di Sarri e di sarrismo. E – passaggio fondamentale – oggi lo è anche il Calcio Napoli. Lo è Aurelio De Laurentiis che ha rinnegato la scelta di Ancelotti e si è convertito. A Napoli se prima di un gol non tocchi il pallone almeno una ventina di volte, non sei nessuno. Lo considerano mezzo punto. E poco importa che oggi Sarri alla Juventus gioca in maniera diversa. Che al Chelsea ha giocato in maniera diversa. Sono inezie. Anche perché, lo ripetiamo, Sarri si è dimostrato nettamente più intelligente rispetto al pueblo che lo osannava (non che ci volesse molto, concordiamo). È stato il primo a capire che quel ciclo era bello che finito e se n’è andato. Bene ha fatto, aggiungiamo noi. Non solo perché è ampiamente migliorato allontanandosi da Napoli. È cresciuto. Ha conosciuto realtà diverse. Ma anche perché qua non avrebbe mai potuto ripetere quei risultati e allora sì che avrebbe fatto la fine di Masaniello.

Napoli, invece, è rimasta ferma lì. Ai novantuno punti. Ma, soprattutto, a quel gioco che era la trasposizione calcistica della cartolina, del Vesuvio. Non a caso lo chiamano gioco identitario. E chissà per quanto tempo resterà lì. A Napoli il tempo è dilatato. Trent’anni qua sono come due settimane nel resto del mondo. Basti pensare che c’è ancora chi rimpiange Hamsik. Se indagassimo, troveremmo ancora chi fa risalire tutto alla cessione di Juliano al Bologna. Qualcuno, nemmeno tanto in segreto, guarda rapito le partite della Juventus. Il secondo posto dello scorso anno te lo tirano appresso. Fermiamoci qua.

Perché non possiamo indugiare più di tanto su Napoli e la sua corrente principale. Il vero nodo della vicenda è sempre De Laurentiis. Ahinoi il principale responsabile – per distacco – di questa situazione. Credevamo che avesse capito prima di tutti – Sarri escluso – che un tempo era scaduto. La scelta di Ancelotti e tutto quel che abbiamo ripetuto più volte. Non ci dilunghiamo. Abbiamo scoperto che non era così. Si è opposto al rinnovamento, al cambio di pelle, ha preferito Frattamaggiore alla Mitteleuropa e lo abbiamo ritrovato – diciotto mesi dopo – improvvisamente nostalgico. Il re dei nostalgici. In panchina ha cercato un allenatore che giocasse come Sarri. Come quegli uomini che, dopo una separazione, vanno sempre in cerca di un sosia più o meno fedele del loro grande amore. Il ritorno di Hysaj titolare fisso a destra è la fotografia – un po’ inquietante, diciamolo – del remake sarrita. L’altro regista, Carlo Ancelotti, è stato liquidato. Come se non fosse mai esistito. In città viene definito “quello col curriculum”. Non c’è da altro da aggiungere.

Lui, Sarri, l’originale, domenica sera entrerà al San Paolo da trionfatore politico. Potrà alzare il braccio e salutare, anche se dovesse essere fischiato. Perché sarebbero fischi ipocriti. Dettati dall’orgoglio, figli della comprensione tardiva di aver preso un titanico abbaglio. E lui lo sa bene.

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