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Mino Raiola il Don King bianco: muovo i sogni, faccio incazzare la gente

Haaland è l’ennesimo colpaccio del genio del mercato. Che tutti si affannano a raccontare come l’emigrante rozzo di Verdone, e che invece ha vinto tutto

Mino Raiola il Don King bianco: muovo i sogni, faccio incazzare la gente

Ci siamo quasi. 22 milioni di euro per il cartellino, 8 milioni alla firma più 8 milioni l’anno per il giocatore, e 15 milioni per il procuratore. L’intermediario ci guadagna quasi quanto le parti per cui intermedia. Non è Haaland il protagonista della prima grande operazione del calciomercato di gennaio. È Mino Raiola. Corto e chiatto che sembra disegnato da uno sceneggiatore cattivo per aizzare lombrosianamente il moralismo della folla. Il “cameriere che diventò miliardario”, che per alcuni faceva il pizzaiolo, ma invece faceva proprio il cameriere, e lui stesso ci tenne parecchio a correggere il refuso.

Mino Raiola ha vinto tutto. Mentre chi ne osserva le mosse continua a farlo galleggiando su una quota di pretesa superiorità, ostentando distanza sociale quasi per autodifesa. Anzi di più: alimentandone nel corso di una carriera ventennale una mitologia di marmo, quella del cafone arricchitosi alle spalle del sistema, coi suoi modi spicci e quell’aria da Don King bianco senza acconciature da scossa elettrica.

Mino Raiola l’ha fatta a tutti. S’è raccontato poco, ha giocato sulle narrazioni altrui, smentendo poco o nulla, andando al sodo dei rapporti personali diretti. Diventando l’indiscusso re di un mercato che nel 2019 ha registrato 17.896 trasferimenti internazionali completati, dei quali 3.558 (il 19,9%) hanno visto la presenza di almeno un intermediario. La Fifa, che dà questi numeri nel suo ultimo report a dicembre 2019, annuncia ormai da anni una serie di misure per calmierare il fenomeno. Nel frattempo va così: l’Italia quest’anno ha speso 130,5 milioni di dollari in intermediazioni, più di tutti, pure della ricchissima Premier (che ne ha 103,6 milioni). E la squadra italiana che ogni anno arricchisce le procure più di tutte è la Juventus. La stessa Juve data per sicura acquirente di Haaland, e che ora a giustificazione morale dell’ennesimo colpo di mercato andato a ramengo pretende di opporre i costi accessori esorbitanti. La Juve terzomondista, l’abbiamo scritto.

Intanto quelli che per mestiere guardano il dito e mai la luna erano alla finestra, e ora sono tornati ad aizzare la litania dello stupore: “Ancora Raiola, ancora lui”. Sono gli stessi che tradussero il suo “parlo molte lingue, la peggiore è l’italiano” in “parla otto lingue, tutte male”, che sembra la stessa cosa ma no. E’ uno dei modi di scrivere il suo curriculum in contumacia. L’effetto cercato è l’emigrato rozzo alla Verdone, quello che torna in Italia a votare e gli rubano i pezzi dell’Alfasud in autostrada. Per contrasto: perché invece Raiola fa affari con tutti, ed è temuto e rispettato da tutti. Altro che povero cristo.

Nel corso degli anni e nel filare degli aneddoti s’è creata una sorta di fenomenologia del mercante astuto che scambia giocatori come figurine e che rovina il bel calcio di una volta. Quando invece basterebbe leggere una delle pochissime interviste personali concesse da Raiola – a GQ nel 2016 – per rendersi conto che c’è più pallone vissuto nella sua vicenda che in tutta questa lotteria di fenomeni social che lui pure cavalca per lavoro.

Zeman una volta gli diede del “pezzo di merda”, come solo i veri amici sanno fare. Al suo Foggia consegna Bryan Roy: “Con quel genio di Casillo e con Zeman diventammo amici. Fumavamo, scherzavamo: «Zdenek, tu di calcio non capisci veramente un cazzo». Si ferma il campionato per le nazionali, partono tutti e parto anch’io. Resto due giorni ad Angri e poi torno da Zeman: «Ciao mister, come stai?». Silenzio. Gli offro una sigaretta. Lui è tirchissimo e accetta, ma non mi rivolge la parola: «Oh, ma che cazzo hai?». «Dove sei stato? Se lasci Foggia mi devi avvertire, non conosci le Tavole della Legge?». «Hai bevuto ieri sera, mister? Io non sono un calciatore e tu non sei Dio, faccio come voglio». «O sei nel gruppo e rispetti le regole o sei fuori», rispose. Ci pensai. Aveva ragione. Gli chiesi scusa. Gli ho voluto veramente bene. Ci siamo un po’ persi e mai veramente ripresi. Anni fa, con un colpo pazzesco, presi la procura di Nedved. Glielo dissi e sbiancò. Gli rodeva che avessi trovato un giocatore ceco e temeva che qualcuno pensasse: Zeman ci guadagna. Mi disse: «Lo devi lasciare stare», gli risposi di no. Gli promisi di portarlo alla Lazio. Un giorno, Zdenek mi telefonò in piena trattativa: «Tu sei pezzo di merda, non hai rispettato parola». Per un equivoco con l’intermediario, Nedved rischiava di andare al Psv. Risolsi la grana e Pavel approdò a Roma. Zeman ne decise arbitrariamente lo stipendio: «200 milioni per ragazzo sono più che sufficienti». Il resto della rosa guadagnava il quadruplo, litigammo e non ci parlammo per mesi. L’ingiustizia la sanò Zoff. Un signore. Come Cragnotti”.

Il Raiola che tutti conoscono tramandato dalla tradizione orale è quello del grande incontro della sua carriera: Zlatan Ibrahimovic, appena passato al Milan contando sul percorso 9 tappe che sono valse a lui 9 commissioni. Lo ha raccontato proprio Ibra:

“Avevamo un tavolo prenotato lì, ma non sapevo che tipo di persona cercare, immaginavo un tizio in completo gessato con un orologio d’oro ancora più grosso del mio. Ma che razza di individuo era quello che entrò dopo di me? In jeans e T-shirt Nike e con quella pancia enorme, sembrava uno dei Soprano. Dovrebbe essere un agente quella specie di gnomo ciccione? E quando ordinammo cosa credete, che arrivò un piattino di sushi con avocado e gamberetti? No, arrivò una valanga di roba, cibo per cinque, e lui divorò tutto come un dannato”.

Mino Raiola da Angri ad Haarlem:

“Vivevamo con uno zio panettiere e se toglie la parte criminale, la casetta sembrava il set del ‘Padrino’. Ragù, salami, spettacolini. Il periodo più felice della mia vita. I miei aprirono il ristorante Napoli, aperto 24 ore al giorno. Volevano rieducare gli olandesi: ‘Il cibo fa schifo, insegniamogli a mangiare’. Papà rientrava alle 4 del mattino, non lo vedevo mai, decisi di dargli una mano. Servivo ai tavoli e pulivo. Un giorno si presenta un cliente. E’ vestito male e sembra sporco. Non mi muovo. Sento la voce di papà: ‘Mino’. Non mi muovo. Ripete. Scatto. Era meglio non contraddirlo. Era dolce, ma sul lavoro si trasformava. Certe cose rimanevano tra noi. Se volava uno schiaffo, mi avvertiva: ‘Se ti lamenti con mamma ti do il resto’. Mi accorgo che quel cliente ha scelto la bottiglia più costosa e dico a papà: ‘Sei sicuro che possa pagare?’. Non alza neanche gli occhi dal giornale: ‘Mino esistono due tipi di clienti. Il cliente e il cliente. Stappa il Sassicaia e sbrigati’. Lo straccione era ricchissimo. Fu una lezione. Non giudico mai dalle apparenze, non mi vesto in giacca e cravatta come mi insegnò il mio professore di storia. In un ristorante cresci in fretta. Impari a prenderti le tue responsabilità. Oggi quando un affare fallisce non penso mai ‘è colpa degli altri’, ma sempre ‘è colpa mia’”.

Raiola, per dirne una, è quello che una volta propone a Ferlaino di far comprare l’Haarlem per far fare al Napoli quello che in Olanda fa l’Ajax: prendere a poco i talenti dalle giovanili, farli crescere e poi rivenderli a molto. Ferlaino dice no, e lui si mette in proprio.

Ed è anche quello che poteva trovarsi oggi al posto di Pallotta nella rivendita della Roma:

“Fui più vicino di Pallotta a comprare la Roma con alcuni soci. Avrei voluto rifondarla iniziando dall’allontanamento di Totti. Lui è un pezzo di storia, ma volevo partire con volti nuovi e senza pesanti eredità. All’epoca, UniCredit, piena di sportelli in città, non era proprio entusiasta”.

Voi – noi – pensate che il calcio sia dei padroni, dei presidenti, degli azionisti di maggioranza. E invece no:

“In Italia il proprietario di un club non è proprietario di un cazzo. Possiede solo 60 stipendi da pagare. Se la squadra vince, è un eroe; se perde, è un coglione da impalare. Comandano i tifosi”.

E comandano i procuratori, ma anche questa è un’ovvietà. Comanda Raiola, più di tutti. Ma questo non lo ammetterà mai in nessuna delle otto lingue che parla male.

“Il mio lavoro non è portare tutti qui o lì. Non sono un tassista. Gestisco gente di cui sono orgogliosissimo che non è mai uscita dalla provincia. Il mio mestiere è aiutare le persone a trovare la loro dimensione.  Ferguson dice di non aver mai odiato nessuno tranne me. E’ un grande complimento. Se non hai nemici non hai lavorato bene. Le cose normali le fanno tutti. Io muovo l’aria. Muovo i sogni. E ogni tanto faccio incazzare qualcuno”.

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