Lautaro Martinez: “Ho iniziato come centrale. Non ho mai smesso di ragionare da difensore”
Intervista a Repubblica: "Mi viene naturale aggredire ogni pallone, quando giocano gli avversari. La passione per il calcio di Conte è contagiosa"

Repubblica intervista l’attaccante dell’Inter Lautaro Martinez. Una lunga chiacchierata su diversi temi, soprattutto sulla sua storia.
Lautaro racconta che da bambino era difensore, poi il suo allenatore capì che era votato a fare gol.
«Disse che ero troppo veloce per fare il centrale e mi spostò avanti. Avevo undici anni».
Ma l’istinto da difensore gli è rimasto, come la mentalità:
«In un certo senso, non ho mai smesso di ragionare da difensore. Mi viene naturale aggredire ogni pallone, quando giocano gli avversari. È sempre stato il mio modo di stare in campo».
Racconta che deve tutto ai suoi genitori, che nonostante l’assenza di soldi, hanno creduto in lui e lo hanno sempre supportato.
«il fútbol era sacro, agli allenamenti andavamo in bicicletta, in bus, spesso a piedi».
Indica come suo modello il padre.
«Mio padre. Mi ha insegnato che la vita può essere difficile, ma va vissuta».
Ai genitori ha comprato una casa in Argentina e aiuta anche economicamente i fratelli.
«Quello che guadagno lo condivido con loro. Hanno fatto sacrifici per farmi diventare quello che sono. Hanno sofferto quando li ho lasciati per giocare».
Dalla sua infanzia, seppur dura, ha ricevuto importanti insegnamenti, dice. La sua storia non è molto diversa dal suo compagno di reparto, Lukaku.
«Aver vissuto esperienze dure ti rafforza. Ti aiuta a tenere i piedi per terra e a lavorare con umiltà. In questo siamo simili. Romelu ha solo 26 anni ma ha una grande esperienza di vita e di calcio. Ha segnato molti gol in grandi squadre e conserva un cuore nobile. In campo, il segreto è aiutarsi».
Ammette di non giocare alla Playstation, a differenza di molti calciatori.
«Non ci gioco. Già da bambino mi sembrava una perdita di tempo».
Lautaro spiega che lo rende felice essere riconosciuto per strada dai tifosi, in Argentina come a Milano.
«Ti vogliono bene senza conoscerti, solo perché hai buttato una palla in porta. Ti fa capire quanto il calcio sia importante per la gente. Soprattutto per i bambini, ed è quello che più mi emoziona».
Racconta il rapporto privilegiato degli argentini con Maradona prima e ora con Messi, qualcosa che va oltre il calcio. E della Pulce dice:
«È il migliore al mondo, giocare con lui in nazionale è un privilegio. È generoso, mi indica i movimenti, mi insegna a trovare spazi che apparentemente non esistono».
All’Inter è felice, anche grazie a Conte che gli dà fiducia e lo spinge a migliorare.
«Abbiamo imparato a conoscerci in fretta. Mi sembra incredibile che siano passati solo cinque mesi. La cosa che più apprezzo in lui è la passione per il calcio. È profonda, contagiosa».
Il punto di forza della squadra nerazzurra è, per lui, la mentalità.
«L’hanno dimostrata i compagni chiamati a sostituire gli infortunati. Non avevano giocato molto, ma erano pronti. È il segno che il gruppo c’è».
Ma c’è anche un punto debole, su cui occorre migliorare.
«La concentrazione e la furbizia nel chiudere le partite. La strada è giusta ma dobbiamo maturare».
Degli allenamenti di Conte dice che sono durissimi.
«Allena con intensità, dà importanza alla preparazione fisica. È indispensabile quando giochi cinque partite in due settimane».
Spiega che deve a Conte l’esplosione del suo gioco dopo la partita con il Barcellona:
«Il merito è di una frase che mi ha detto Conte. Gliene sarò sempre grato. Parole preziose, che non dimentico e che voglio custodire. Ci sono cose che sono solo mie».
Su Icardi.
«Siamo amici, ci sentiamo. Quando sono arrivato a Milano non mi ha dato una mano, me ne ha date due perché io mi ambientassi. Non conoscevo nemmeno la lingua».
Dice che Mauro è contento dei suoi successi all’Inter
«Anche quando eravamo compagni si dava da fare perché io giocassi al meglio, quando ne avevo l’occasione. È il suo modo di essere».