Gatti: “Tifare Inter è come prendere un cucciolo e sapere che un giorno non ci sarà più”

Il direttore d'orchestra intervistato dal CorSport: "Messi? Assomiglia alla musica di Schumann. Con Conte la squadra lotterà fino alla fine, meglio di quanto abbia fatto il Napoli in questi anni"

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Chi tifa Inter si porta a casa un dolore. Tifare Inter è come prendere un cucciolo. È il tuo cane, ti dà gioie senza confini e una tenerezza unica, ma sai che arriverà un giorno che lui non ci sarà più

Il Corriere dello Sport intervista Daniele Gatti, uno dei più grandi direttori d’orchestra italiani. Di fede profondamente interista. Una bellissima intervista, di cui proponiamo solo alcuni stralci.

«Da bambino mi piaceva il blu. Per questo divenni interista. Dal blu e da quella maglia nacque una passione che non mi ha più abbandonato».

Il blu, racconta, lo rassicurava anche quando disegnava.

«Prendevo pennarelli e matite blu, trovavo nell’uso di quei toni un rifugio e la tranquillità. Dopo l’infanzia e il fascino del colore, arrivò la passione conseguente. Seguì a dieci anni lo scudetto del 1971, quello di Invernizzi. E cominciai a giocare a calcio».

Iniziò per strada, a Milano, dove viveva non lontano da San Siro, sulla collina della Montagnetta, sull’erba.

«In campo mi immedesimavo nei calciatori dell’Inter, come Boninsegna. Lui era un lottatore, la sua fame era la mia voglia».

Poi ci fu la frequentazione dello stadio, la carriera musicale, le partite che continuava a giocare e nelle quali si faceva male ma nonostante ciò ha sempre continuato a suonare. Quando iniziò a girare il mondo diventò più complicato seguire l’Inter

«Ma non mi sono mai arreso. Ricordo lo scudetto dei record, quello del 1989. Ero in Toscana, non c’erano i telefonini e in programma avevo una Cantata di Bach, un concerto di Mozart e la quarta sinfonia di Beethoven. Alla fine corsi ad un impianto a gettoni per chiamare i miei amici e sapere come stesse andando Inter-Napoli. Era pieno maggio, Matthäus, con quella ormai storica punizione, ci regalò una vittoria e una gioia indimenticabili».

Gatti racconta di aver conosciuto Moratti per caso, dopo la prima del suo Lohengrin alla Scala e di quando, per il centenario dell’Inter, il presidente chiamò proprio lui a dirigere un concerto. Non se ne fece nulla per problemi organizzativi, ma Gatti racconta un aneddoto.

«Mi chiese se nel repertorio musicale ci fosse qualche titolo attinente al calcio. Naturalmente ve ne sono. E, con un po’ di ironia, gli proposi un poema sinfonico di Victor de Sabata, grande direttore d’orchestra e compositore che da Trieste venne a studiare e poi si impose a Milano. E aggiunsi: non so se è adatto. “Ah, va bene”, disse. “E come si chiama l’opera?”. Presidente… Abbia pazienza… si chiama Juventus. “No, no, per carità, lasciamo perdere”. Finì così, scherzando».

Tifare Inter, spiega, è come vivere con un dolore.

«Chi tifa Inter si porta a casa un dolore. Tifare Inter è come prendere un cucciolo. È il tuo cane, ti dà gioie senza confini e una tenerezza unica, ma sai che arriverà un giorno che lui non ci sarà più e quella sofferenza ti travolgerà, come la felicità assaporata. Questa è l’Inter».

Tra Messi e Ronaldo dice di preferire Messi

«Accarezza la palla, fa cose che durano nel tempo e le fa spesso per i suoi compagni. I suoi gesti sono poesia, come quelli di Baggio e Del Piero. Sono calciatori che addolciscono ogni giocata anche quelle di straordinaria efficacia: esprimono ciò che comunemente pensiamo di trovare nel Romanticismo. Il loro calcio somiglia alla musica di Schumann».

Un allenatore, spiega, è simile a un Maestro del coro

«Lui si comporta come un allenatore di club, ha un’attività giornaliera di circa due ore al giorno, deve gestire i rapporti individuali e il loro logoramento. Il direttore d’orchestra e l’allenatore hanno però in comune la stessa attenzione alla psicologia. Ci sono i direttori costruttori che fanno crescere i musicisti e poi gli esecutori. Così nel calcio ci sono, da una parte, i maestri alla Liedholm, dall’altra i gestori. Fra orchestra e direttore, fra squadra e allenatore è un gioco di equilibri. Come sali sul podio ti fanno la radiografia, ogni gesto viene pesato. E conta fino ad un certo punto essere stato un grande solista. Sul podio e in panchina serve carisma».

Su Sarri:

«Forse Sarri all’Inter non mi sarebbe dispiaciuto. Io però sono contentissimo dell’arrivo di Conte che ho ammirato alla Juve e in Nazionale. E, sinceramente, non mi importa cosa abbia rappresentato nel suo passato juventino. So che costringe tutti a dare il massimo. In questo momento è veramente l’Inter. Con lui potrei giocare anche io. Scudetto? Tutto si può, ora mi godo il Natale da capolista. Penso che la squadra lotterà fino all’ultimo e meglio di quanto abbia fatto il Napoli in questi anni. Anche se pareggiare partite come quella di Firenze mi fatto incazzare».

 

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