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Insigne, ovvero il giorno in cui Napoli scoprì che Ancelotti non è buono (ossia non è fesso)

Il rapporto tra i due si era incrinato. Lorenzo poteva andar via, ma è rimasto. Ora serve il riformismo di Ancelotti, l’allenatore a-ideologico per eccellenza. Genk è un cambio di metodo

Insigne, ovvero il giorno in cui Napoli scoprì che Ancelotti non è buono (ossia non è fesso)

Napoli-Arsenal

Lorenzo Insigne è un caso, è il tema giornalistico. È il capitano del Napoli. E Ancelotti in Champions lo ha mandato in tribuna. “Scelta tecnica, l’ho visto poco brillante in allenamento”. Secco, diretto. È una notizia. A dirla tutta, è una notizia la tribuna; non che non sia nell’undici iniziale. Ma è una notizia. E finisce che il Napoli pareggia 0-0 sul campo del Genk. Ma dire, o pensare, che con Insigne il Napoli avrebbe vinto, è una evidente forzatura. Lo scorso anno, con Insigne in campo, si pareggiò 0-0 in casa della Stella Rossa. E giocò in tutte le sconfitte del Napoli. Tranne due partite che possiamo definire non fondamentali: in campionato contro Atalanta ed Empoli.

Chi ama i segni, fissa in Napoli-Arsenal il punto di non ritorno tra Ancelotti e Insigne. La sostituzione, i fischi del pubblico, Lorenzo che dice all’allenatore: “Se mi sostituisci dopo un tiro sbagliato, è ovvio che mi fischiano”. Ancelotti che gli tende la mano, come per salutarlo. In un film sarebbe la scena clou. C’è tutto in quel momento. Si vede la crepa. Rimanere insieme è stata una forzatura; è dura affermare il contrario. Eppure Insigne aveva scelto come procuratore Mino Raiola il re dei trasferimenti. Non si è trovata la cifra ritenuta adeguata al suo valore. Si è lavorato a un compromesso. Ma perché il compromesso funzioni, deve esserci disponibilità da entrambe le parti.

insigne tribuna

Non una scelta tecnica

In precedenza, c’era stato il tentativo di Ancelotti di trasformare Lorenzo in seconda punta o sottopunta come si predilige dire oggi. Un’idea intelligente, che tra l’altro avrebbe potuto regalare un’altra carriera al calciatore. L’inizio fu folgorante. Nove gol in due mesi. Uno al Liverpool, due al Psg. Proprio il rigore segnato a Buffon in Champions fu da noi interpretato come il definitivo abbandono della dimensione di nove e mezzo. C’era un rigore da segnare e Lorenzo lo segnò. Era diventato grande. Ci sbagliammo clamorosamente.

Per Insigne, Ancelotti ha deciso di fare un passo indietro. Ha deciso o comunque è stato obbligato. Un compromesso, appunto. Non è nella concezione di Ancelotti costringere un calciatore a giocare in un ruolo non di suo gradimento. Lorenzo è rimasto a Napoli e non voleva più giocare vicino alla porta. Non c’era che riportarlo alla sua mattonella preferita. Ovviamente con l’accordo, non crediamo tacito, che non sarebbe stata una postazione esclusiva. L’esclusiva in questo Napoli non ce l’ha quasi nessuno. Nemmeno i portieri. Figuriamoci Insigne.

Ma spedirlo in tribuna a Genk è parso qualcosa di più. Ha retrocesso Insigne dietro Younes che fin qui ha giocato dieci minuti contro la Sampdoria. Soltanto Gaetano e Karnezis hanno giocato di meno. Così come è stata comunicata, è una scelta dal sapore punitivo. Certamente eclatante. Presa sapendo che non sarebbe passata inosservata. Non tecnica, ecco. Un segnale chiaro. E da tanti anche atteso.

Ancelotti continua incredibilmente a essere descritto come un allenatore “buono”. Dove per buono – a Napoli ma non solo – si intende incapace di farsi rispettare. Se sei una persona educata, sei ineluttabilmente considerato inadeguato alla gestione. Concetto diffuso in città e ultimamente incredibilmente alimentato da Aurelio De Laurentiis con i suoi tweet sul furore agonistico. Tweet che sono tra il populistico e il grottesco; siamo suoi irriducibili fan, lo difenderemo altre mille volte, ma quando fa così proprio non riusciamo a seguirlo.

L’ambiente non è rimasto turbato

A Napoli un allenatore che ha gestito Cristiano Ronaldo, Sergio Ramos, Ibrahimovic, Lampard, Terry, Drogba, Kaka, Maldini e tanti altri ancora, è considerato non all’altezza di gestire Insigne. Con tutto il rispetto per Insigne, sia chiaro. Riportiamo qui anche la versione indigena: “Perché quelli erano professionisti (quindi Insigne non lo sarebbe), lui sa trattare soltanto con quelli. Con questi è diverso”. È la versione più in voga in città, insieme con quella dell’inadeguatezza dell’allenatore che ha vinto tanto solo perché ha allenato grandi squadre. Napoli è una città meravigliosa, si dota delle proprie verità e le eleva al rango della legge di gravitazione universale. Guai a chi la contraddice.

Ma torniamo a Insigne e alla tribuna. “Ancelotti è troppo buono”. Poi, però, arriva il giorno in cui l’allenatore usa il pugno di ferro. E neanche va bene? In realtà, l’ambiente (inteso come tifoseria) non è che sia rimasto così turbato dall’esclusione del capitano, va detto. Poi, è ovvio, sull’umore incide il risultato che nel calcio è la stella polare. Se Milik avesse messo dentro una delle due palle gol, o se Callejon non si fosse fatto aggredire dalla sindrome di Bergamo (quando si divorò un gol sulla linea di porta, sfidando le leggi della fisica), la vicenda Insigne sarebbe più sullo sfondo. Comunque se ne parlerebbe. E va anche detto che, spedendolo in tribuna, Ancelotti ha mostrato di non aver risolto il problema, che il metodo inclusivo ha fallito. E infatti ha cambiato metodo.

L’idea che ci eravamo fatti in estate è che Ancelotti avesse ben in mente il Napoli del secondo anno. Una squadra in grado di giocare in più modi, di fare più cose. Il Napoli liquido di cui qui sul Napolista si scrive da tempo. Alle varie armi, ad esempio, ha aggiunto anche il colpo di testa. Il Napoli è diventato temibile con un gesto che negli ultimi anni non è mai stata la propria specialità. E anche ieri è stato pericoloso due volte di testa. Lozano, altro esempio, serviva e serve invece ai cambi di ritmo. A dare profondità all’attacco. Una squadra che – diciamolo – avrebbe potuto serenamente fare a meno di Insigne. Non era un’ipotesi campata in aria. James, tanto per fare un nome, avrebbe potuto prenderne il posto. Non parliamo obbligatoriamente di zona di campo, ma di qualità del giocatore. James, tra l’altro, ricopre più compiti.

Insigne è rimasto, amen. Ora sta ad Ancelotti, col metodo che ritiene il più efficace, renderlo il più possibile utile alla causa. Ancelotti è calcisticamente un riformista ed è soprattutto un a-ideologico. È la sua forza, il suo tratto dominante. Ha le sue convinzioni ma la sua storia dice che non si incaponisce mai a dispetto della realtà. Rimarremmo sorpresi se Insigne diventasse il problema del suo Napoli. Lorenzo non è un crack, è un calciatore che può finire tranquillamente in panchina, ma è anche uno dei più talentuosi del Napoli. Non è Baggio, per capirci, ma non è nemmeno Scarnecchia. È rimasto a Napoli e ora Ancelotti deve trarre il meglio da lui. Col metodo che ritiene più efficace. E ovviamente con la doverosa massima disponibilità da parte del giocatore.

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