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Ancelotti in versione Indurain, risfodera la parola frottola

Avrebbe potuto usare il termine “cazzate”, invece ha scelto frottole. Anche l’uso del linguaggio caratterizza un uomo di un’altra epoca eppure contemporaneo e innovativo. Che ha concluso dicendo: «Mi aspetto di più da tutti»

Ancelotti in versione Indurain, risfodera la parola frottola

 

Non contare frottole

Dicevano così le nonne. Un linguaggio oggi considerato desueto e rispolverato in conferenza stampa da Carlo Ancelotti. Che ha marcato una distanza linguistica e di toni da Aurelio De Laurentiis, ma non di contenuti. Avrebbe potuto usare il termine  “cazzate”, invece ha scelto “frottole”. Si addice decisamente di più a lui. Uomo di un altro tempo, eppure contemporaneo e innovativo.

Nemmeno si può dire che lui e il presidente si sono divisi ruoli: poliziotto buono e poliziotto cattivo. Perché nessuno dei due è stato buono. Possiamo dire che se De Laurentiis è stato fiammeggiante, con uso dei fuochi d’artificio; Ancelotti è stato quasi metodico, ritmo elevato, nessuna sbavataura, passo apparentemente costante con cambi di passo che spesso le telecamere non colgono ma le gambe degli avversari sì, non si alza mai sui pedali. Una conferenza in versione Miguel Indurain.

Frottole, dicevamo. La Treccani ci ricorda che era un

componimento letterario di origine popolaresca (detto anche motto confetto) costituito da un affastellamento di pensieri e di fatti bizzarri e strani, senza nesso o quasi tra loro, in versi di varia misura (settenarî, quinarî, endecasillabi) e senza ordine fisso di rime. E, ancora, componimento musicale (detto anche villottavillanellastrambotto, ecc.), per lo più a 4 voci, di genere apparentemente popolaresco, assai diffuso in Italia verso la fine del quindicesimo secolo.

Definizione perfetta: genere apparentemente popolaresco, per lo più a quattro voci. È stato un coro quello andato in scena in queste due settimane di sosta della Nazionale. Due settimane durante le quali in città il Napoli è stato trasformato in una squadra alla deriva, con presidente e allenatore sideralmente distanti e uno spogliatoio completamente abbandonato a sé stesso. Poi, sono bastati due giorni per offrire una visione diversa. Soprattutto per quel che riguarda i rapporti tra De Laurentiis e Ancelotti.

Il leader calmo non ha tradito la sua fama. Il suo essere accigliato non ha intaccato la proverbiale compostezza. E, una dopo l’altra, ha elencato sciorinato l’elenco – appunto – delle frottole.

«Sono stato otto anni a Roma, quindi so bene che cosa succede durante le soste delle Nazionali». E anche: «Non ho da togliermi sassolini dalle scarpe, faccio questo mestiere da troppo tempo per avere la voglia di togliermi i sassolini». Ma quel che doveva dire, lo ha detto.

E lo ha fatto escludendo subito le questioni personali. «In questo momento non dobbiamo parlare del mio rinnovo ma della squadra e del ciclo che ci attende. Io sto bene a Napoli, l’ho sempre detto».

Col suo passo, le cose le ha elencate. In maniera decisamente chiara. È partito ovviamente dalle parole di De Laurentiis: «che sono venute dal cuore, magari anche un po’ forti su alcuni giocatori, che hanno chiarito molti aspetti. Quindici giorni in cui sono uscite molte frottole».

Ancelotti ha esposto, uno dietro l’altro, una serie di temi.

«Tutto questo dramma non l’abbiamo visto né io né quelli che lavorano con me né tantomeno la società, la serenità del presidente dimostra tutto questo. Vogliamo fare meglio certo». Tra gli aspetti positivi c’è l’inserimento dei nuovi: Di Lorenzo, Manolas, ha dimenticato Elmas ma è stata soltanto un’amnesia visto il rendimento del calciatore. Ha ricordato la vittoria sul Liverpool («una partita straordinaria») e ci ha tenuto a un passaggio: «È una squadra che ha sempre mostra la sua identità, checché se ne dica. Tranne una volta, a Torino, quando abbiamo cambiato per l’avversario che abbiamo incontrato». Ossia il Torino.

Non ha negato le incomprensioni con Insigne, ma le ha incasellate. Lo ha elogiato per l’inizio di stagione, e poi ha parlato di attimo di sbandamento e di gesto forte da parte sua nel lasciarlo in tribuna a Genk. «Non si è allenato bene, è successo anche a Younes. I calciatori lo sanno».

La questione Mertens e Callejon l’ha sintetizzata e offerta come un grande manager della comunicazione (quale peraltro è):

Il rendimento dei due è stato ottimo in questo periodo, La società ha fatto un’offerta, c’è la volontà di tenerli: poi saranno loro a dire sì o no. Sta ai giocatori valutare le cose, prendere la decisione appropriata e giusta per loro.

Non fa una piega. Il Napoli ha offerto ai due un prolungamento alla Totti: altri tre anni allo stesso stipendio. Persino un lusso per un club come il Napoli.

Ancelotti, senza mai alzare il tono, ha tenuto anche una lezione di fisiologia. Ha ricordato la differenza tra infortuni muscolari e affaticamento muscolare. E che il Napoli ha avuto un solo infortunio muscolare: Maksimovic. Altri avrebbero sottolineato che per ascoltare elogi ai preparatori atletici del Napoli, sarebbe bastato sintonizzarsi su Radio Rossonera. Non lui che però ha ricordato come stanno le cose.

Ha tolto l’occasione – come si dice da noi – con Milik. Ha persino giocato in difesa: «Non è colpa mia se ha avuto problemi al retto addominale». Altri allenatori avrebbero invitato l’attaccante a essere più preciso sotto porta, lui no. Di un’altra epoca appunto.

E ha anche ricordato che secondo lui Lozano può offrire il meglio di sé da punta centrale. «Lo abbiamo scelto per come attacca la profondità, non avevamo un calciatore come lui. Lui deve adattarsi alla squadra e la squadra a lui».

A questo punto, Indurain si è girato e non ha trovato più nessuno. Non è stata una conferenza sulla difensiva. Altrimenti Ancelotti non avrebbe detto che «da tutti si aspetta di più». Che non tutto è andato bene nel primo ciclo, anche se a Torino si può pareggiare, così come in trasferta in Champions («Lo scorso anno ricevemmo molto critiche per il pareggio in casa della Stella Rossa, poi il Liverpool perse»).

En passant, ha ricordato – sulla questione razzismo che lo ha visto in prima linea da quando è tornato in Serie A – che un anno fa si parlava di goliardia e che invece adesso se ne parla con un diverso livello di consapevolezza.

L’ultimo cambio di ritmo in vista dello striscione dell’ultimo chilometro:

Un giocatore che mette le proprie qualità al servizio della squadra è un campione, altrimenti rimane un giocatore.

È finita. Anzi no. Ha ricordato che il Napoli non è sull’orlo di niente:

La partita di domani non è una questione di vita e di morte, ci dà tre punti in più in classifica in campionato, continuità di risultati. Anche con un pareggio andiamo avanti lo stesso. La voglia di lottare per lo scudetto ci sarà fino alla fine, e anche per la Champions visto che siamo in testa al girone.

La due giorni comunicativa del Napoli si è chiusa. E ha chiuso quindici giorni di frottole.

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