La ct Bertolini: “Mondiali? Può darsi che gli italiani guardino le ragazze in modo più originale”

In un'intervista a Repubblica: "Bisogna cambiare il linguaggio. Il calcio femminile può affrancarsi da quello maschile"

bertolini italia

La Repubblica intervista la ct della Nazionale femminile, Milena Bertolini. L’unica allenatrice donna del nostro girone. Australia, Giamaica e Brasile, nostre avversarie, hanno tutte ct uomini.

Emanuela Audisio, autrice dell’intervista, sciorina un po’ di numeri in merito. La presenza di allenatrici donne è aumentata, rappresentano il 37,5%. Al primo Mondiale ce n’era solo una, svedese, ora, invece, sono 9 su 24. Eppure la preferenza di molte federazioni resta maschile.

La Bertolini parla subito del cambiamento possibile con l’Italia delle femmine sotto i riflettori:

“Il cambiamento passa anche tramite immagini e modi di dire. Il rispetto è per tutti, ma più donne si vedono in certi ruoli e più si pensa che il calcio è un diritto di tutti”.

Occorrerebbe partire cambiando il linguaggio, dice:

“Io lo chiedo alle mie giocatrici: non dite marcatura a uomo, ma individuale. Le parole definiscono il pensiero. Centrale di difesa, ad esempio, è abbastanza neutro. Se ci abituiamo a parlare in un certo modo, questo ci aiuterà a percepire le novità di molte realtà. È così che culturalmente si fanno passi avanti”.

La ct si sofferma sulle differenze di gioco tra uomini e donne, dovute al fatto che non è solo il fisico ad essere diverso, ma anche la testa

“La donna quando gioca a pallone ha bisogno di costruire, la sua azione è più circolare. L’uomo invece è più lineare, più concreto, ha meno complessità. Non si tratta di meglio o di peggio, solo di differenza. Ci sono aspetti psicologici che sono anche fisiologici e antropologici”.

La Audisio le chiede quali giocatori maschi hanno un modo di giocare che si avvicina a quello delle donne. La Bertolini non ha dubbi: Baggio

“Per l’eleganza, per come si muoveva dentro l’area, e se posso aggiungere Paulo Dybala, per l’armonia. Ronaldo è diverso, ti sovrasta, è un modello che interpreta la forza. Noi, parlo dell’Italia, veniamo da una scuola di gioco più analitica, e forse a volte tatticamente parlando gli schemi alla lunga possono diventare un nostro limite”.

L’Italia di oggi, rispetto a quella di vent’anni fa, è più squadra, dice la ct, anche se manca il fenomeno assoluto.

“Venti anni fa quasi tutte le nostre calciatrici venivano dalla strada, nel senso che avevano imparato a muoversi con il pallone nei cortili e nei campi, a giocare per ore e ore con i ragazzi, ora ci sono le scuole, i centri di formazione. L’approccio è diverso, meno selvaggio”.

La cosa che teme di più è l’impatto emotivo

“Le nostre ragazze sono tutte debuttanti al Mondiale. Temo la non abitudine della squadra a gestire il momento, bisogna avere la capacità di riuscire a restare concentrate, senza farsi distogliere dal contorno”.

Il contorno è rappresentato dal fatto che per la prima volta il calcio femminile può affrancarsi dal confronto maschile:

“Può essere che anche nella testa degli italiani qualcosa si incrini, che riescano a guardare le ragazze con un occhio più originale. Si vale per quello che si è, non nel continuo paragone. Ma sia chiaro: si fa fatica a vincere se non si gioca bene. A prescindere dal sesso”.

Per la Bertolini, ex calciatrice, sedere sulla panchina azzurra è una grande soddisfazione:

“Quando ero bambina tutto l’ambiente mi faceva sentire diversa, solo perché ai miei piedi avevo un pallone. Ora c’è tutto il mondo che ce l’ha. È questa normalità il vero successo”.

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