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Su Repubblica il prof. Portelli: “La Lazio deve cacciare i fascisti dalle curve”

Storico comunista e laziale, intervistato da Gianni Mura: “Mi pare di notare una certa indulgenza, forse l’antifascismo non fa più parte del senso comune”

Su Repubblica il prof. Portelli: “La Lazio deve cacciare i fascisti dalle curve”

Su Repubblica Gianni Mura intervista Alessandro Portelli, ex docente di letteratura angloamericana alla Sapienza e autore, tra gli altri, di un libro sul massacro delle Fosse Ardeatine. Dichiaratamente di sinistra, è laziale da sempre, figlio di un ex calciatore delle giovanili laziali.

Portelli ricorda un’epoca in cui allo stadio si andava con tutta la famiglia e pure se sedevi accanto ai romanisti e scattava qualche discussione in più, al massimo volava qualche pugno.

“Rimpiango i tempi in cui non esisteva il tifo organizzato. Al quale, per correttezza, andrebbe aggiunto un aggettivo: organizzato militarmente”.

Oggi Portelli frequenta lo stadio saltuariamente.

“Prima, andavo con mio figlio Matteo nei Distinti e quando si sono fascistizzati e il clima era divenuto invivibile ci siamo spostati in tribuna Tevere. Spesso rimproveravo, pacatamente, il tifoso che faceva buu ai giocatori di colore. Matteo già a 13 anni reagiva duramente ascoltando certi cori”.

Non solo laziale, anche comunista, dagli anni ’60 e come tale, oggi, il professore vive malissimo gli episodi di fascismo come la manifestazione in piazzale Loreto e i cori contro Bakayoko e Kessiè.

Lui, che all’epoca della giunta Veltroni era consigliere per la memoria, dopo i duri scontri tra i tifosi della Lazio e quelli del Livorno andò da Lotito a chiedere misure forti contro i fascisti e i razzisti allo stadio. Ma lui non capì. Riconosce però che il presidente ha provato a fronteggiare gli Irriducibili

“colpendoli negli incassi, nei quattrini. Perché il tifo organizzato è anche business”.

Portelli chiede che la Lazio faccia qualcosa, anche in considerazione del fatto che dopo gli eventi di Milano la società si è dichiarata parte lesa. E aggiunge che il fascismo nelle curve non riguarda solo la lazio.

“Dove sono finite le curve di sinistra, la Brigate rossonere, i Boys romanisti? Tutto o quasi il tifo organizzato s’è spostato all’estrema destra. La sinistra ha responsabilità precise: non ha capito che negli stadi si stava giocando qualcosa d’importante. In una prima fase s’è disinteressata, poi non ha approfondito il problema, l’ha sottovalutato”.

Il tifo razzista esiste perché quando ha iniziato a diffondersi gli stadi, in città, erano la sola zona franca esistente, dichiara il professore. E’ dagli stadi che è arrivato nelle piazze e nelle strade, non viceversa.

E attenzione a considerare i razzisti solo degli ignoranti, ammonisce:

“No, dico io, è gente che sa benissimo da che parte vuole stare. Ricordo un derby in cui la curva laziale era osservata speciale. Mostrò una sola bandiera, quella sudista, della confederazione schiavista. E nessuno la rimosse. Infine, mi par di notare una certa indulgenza, forse l’antifascismo non fa più parte del senso comune. Se poi penso a chi siede al Viminale, non credo che la deriva fascista, nazista e razzista gli interessi più di tanto”.

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