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Ventre (Apple Academy): «De Laurentiis dovrebbe vivere di più Napoli, essere meno estraneo»

Intervista a Giorgio Ventre, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione e Direttore Scientifico della iOS Developer Academy, l’Accademia per sviluppatori che Apple ha aperto a Napoli.

Ventre (Apple Academy): «De Laurentiis dovrebbe vivere di più Napoli, essere meno estraneo»
prof. Giorgio Ventre
Il suo studio è a pochi metri dalla tribuna del San Paolo. “Durante le partite mi altero, perdo la lucidità. Pensi che alle volte devo smettere di guardare. Mio figlio, invece, riesce a rimanere freddo. Lui ha seguito il corso come osservatore a Coverciano, mi fa bene guardare la partita insieme a lui”.
Professore, partiamo dalla Apple Academy che Lei dirige. Come vanno le cose? A che punto siamo? So che nei prossimi giorni l’Università Federico II verrà premiata come esempio di best practice per la gestione dei Fondi Europei per il Polo di San Giovanni.
 
Siamo contentissimi degli straordinari risultati che stiamo ottenendo. Siamo oramai in procinto di iniziare il quarto ciclo di corsi e speriamo di rinnovare al più presto il contratto con Apple. I ragazzi che escono dalla Academy hanno una percentuale di placement altissima e da questa esperienza si sono sviluppati una miriade di altri progetti, con grandi aziende, alcune delle quale non posso nominare perché ci sono trattative in corso. A San Giovanni ha sede anche DIGITA la Digital Transformation and Industry Innovation Academy in collaborazione con Deloitte. Tutti progetti che sono diventati realtà soprattutto grazie alla capacità di lavorare in gruppo dell’Università, della Regione, delle aziende e del quartiere di San Giovanni, che ha saputo accogliere ragazzi che vengono da tutto il mondo senza nessun tipo di problema. Una caratteristica che fa parte del DNA di questa città, basti pensare che alcune delle nostre strade si chiamano Rua Catalana, Piazzetta Nilo, la Salita dei Cinesi, una toponomastica che testimonia la nostra millenaria apertura al mondo. Anche Federico II di Svevia aveva tra i suoi consiglieri cittadini di tutto il mondo. Dico sempre che così come Milano è l’unica città europea italiana, Napoli è l’unica città mondiale italiana, capace di contenere un cosmo multietnico e multi religioso. In un momento di chiusura e di presunti sovranismi come quello che stiamo vivendo, la storia di Napoli merita di essere sottolineata.
 
La storia di Napoli è indubbiamente costellata di epoche di apertura e di integrazione, tuttavia molto spesso siamo noi stessi a chiuderci nei nostri cliché. Come se ci dimenticassimo da dove veniamo e ci rintanassimo in un provincialismo autolesionista. Come può fare Napoli per farsi identificare maggiormente come la città dell’Academy e della sua storia e meno come il luogo dell’eterno festival della pizza e del mandolino?
 
Noi dobbiamo essere consci della straordinaria tradizione che abbiamo. Tradizione di cui fa parte anche la pizza, così come ne fanno parte la canzone napoletana e la moda, per esempio. Ma dobbiamo altresì tenere presente che la creatività napoletana si è espressa ai suoi massimi livelli nei momenti di grande apertura agli influssi culturali, sociali ed economici. Questi flussi all’epoca rappresentavano la vera innovazione. Oggi tendiamo a far coincidere innovazione e tecnologia, ma non sempre è stato così. Nei tempi antichi l’innovazione poteva essere rappresentata semplicemente da un tessuto o una pianta che arrivava dall’oriente. Pensiamo al pomodoro, che era considerata anticamente una pianta ornamentale e addirittura tossica, sulla quale Napoli ha costruito quella che ora è la nostra tradizione alimentare. Tra i Napoletani illustri ai quali sono più legato c’è Giovambattista Della Porta, un alchimista, naturalista, scopritore ed inventore della fine del 1500, nato in un palazzo a Piazza Carità, che ha creato la prima Accademia italiana ed Europea. All’epoca all’Università si faceva solo didattica, non si cercava l’innovazione. Le sperimentazioni e la ricerca erano affidate ai singoli. Della Porta creò l’Accademia dei Segreti, che deve il suo nome al requisito necessario per esservi ammessi. Gli studiosi che volevano entrare all’Accademia dei Segreti, infatti, dovevano rivelare agli altri un segreto della natura. Fu uno straordinario esperimento di innovazione e apertura. A volte dimentichiamo questa nostra tradizione e sprofondiamo in una sorta di conservatorismo culturale, che ci fa ritenere intoccabili, ad esempio, dei basoli che sono stati apposti in epoca recente. Non voglio entrare nel merito dell’amministrazione comunale, peraltro sono per indole tanto contrario allo scontro politico quanto sono propenso al confronto. Mi dispiace notare che siamo in un momento di involuzione, nel quale manca la progettualità e il confronto con la città.
 
Lei ha seguito un po’ il dibattito in città sulla stagione degli azzurri? C’è chi parla di fallimento, chi accusa Ancelotti di essere aziendalista. Che idea si è fatto?
Ma un allenatore deve essere aziendalista. Deve essere in grado di far parte di un’azienda ed avere l’autonomia e l’autorevolezza di dire all’amministratore delegato quando qualcosa non va. De Laurentiis è un imprenditore molto accentratore, ma perché non dovrebbe ascoltare i consigli di uno come Ancelotti? La critica di essere aziendalista, pertanto, non la condivido e la rispedirei al mittente.
 
Però è un dato di fatto che c’è una spaccatura tra Napoli e il Napoli. Non solo da parte del tifo organizzato, un po’ tutto l’ambiente appare deluso.
Credo che Ancelotti sia arrivato in un momento di difficile transizione, non solo perché era cambiato l’allenatore, ma perché era finito un ciclo naturale, a causa dell’età anagrafica di molti dei protagonisti degli anni scorsi. Penso ad Hamsik che è stato un giocatore incredibile ma che obiettivamente non era più quello al quale ci eravamo abituati. Lo stesso Callejon, protagonista passivo del brutto gesto della maglia restituita dai tifosi, e che in questi anni ha dimostrato una professionalità e una costanza straordinaria, non ha più l’impatto che aveva quando arrivò con Benitez o negli anni di Sarri. Nonostante questa difficile transizione, però, i risultati sono comunque ottimi. Siamo secondi, siamo arrivati ai quarti di finale dell’Europa League, direi che la stagione è decisamente soddisfacente.
 
Ma se non è un problema di risultati, allora, perché c’è delusione attorno al Napoli?
Secondo me i discorsi sono due: uno di natura locale e uno di natura nazionale. A mio avviso è naturale che il pubblico napoletano desideri o comunque aspiri ad un risultato di prestigio. Dopo 15 anni e con tutta la gratitudine nei confronti di De Laurentiis per averci salvato dal fallimento e portato stabilmente in Champions, è umano sognare qualcosa di più. Ora abbiamo un grande allenatore con una visione di sistema, credo sia il momento giusto per fare un ulteriore passo avanti. Il problema di natura nazionale, invece, è più grave. Il calcio italiano mi sembra malato. Inter, Milan e Roma sono stabilmente dietro il Napoli, persino nel suo anno di transizione. Mancano protagonisti. L’altra patologia è la Juventus che è una grande squadra ma che viene immotivatamente protetta dal sistema arbitrale. Questo ha fatto sì che il campionato si sia chiuso sostanzialmente a novembre.
 
Però, professore, De Laurentiis non è l’unico a Napoli a dover soffrire di un ambiente polemico e sfiduciato, a prescindere dai risultati prodotti. Io ricordo che i mesi che hanno preceduto l’apertura della Apple Academy sono stati caratterizzati da polemiche incredibili, che in parte ancora durano. Eppure l’Academy è un progetto innovativo, attrattivo, che sta producendo enormi risultati. Esiste un parallelo tra la vicenda Apple e quella del Napoli Calcio?

Sì e no. La prima cosa che mi viene in mente è sì. Anche noi abbiamo ricevuto critiche fortissime e non giustificate. Ma si trattò di critiche minate da un pregiudizio nei confronti di Renzi che diede un forte impulso a tutta l’operazione. Però nel tempo la città si è aperta molto al progetto e la percentuale di persone che dà un giudizio negativo si è molto ridotta. Anche perché l’Academy è stata un punto di partenza per tante altre novità. Oggi Napoli è la terza città d’Italia per numero di Start Up. Si è creata una splendida sinergia con la Regione che è stata capace di rispondere in maniera veloce ed efficace alle esigenze del progetto che è partito con Apple e che oggi coinvolge Cisco, Tim e tantissime altre aziende.

Per quanto riguarda il calcio, invece, siamo più sul piano dell’emotività. Siamo un popolo competitivo, con un forte orgoglio identitario, che poggia su una storia e su una cultura millenaria che va da Giambattista Vico a Giovan Battista Della Porta, dalla pizza alla canzone napoletana e via narrando. Sono valori forti, noti in tutto il mondo. Non c’è una città italiana che ha una connotazione culturale così forte e così a 360°. Un popolo con una cultura e una identità così forti cova, direi naturalmente, un fortissimo desiderio di primeggiare. Si tratta di una pulsione emozionale che rende difficile un’analisi prettamente lucida e razionale. Accade anche a me: quando si parla di calcio non riesco a mantenere la lucidità che ho sul lavoro. Tuttavia devo dire che poi, a mente fredda, la città non riesce a ritrovare la lucidità ed è un aspetto molto deludente. Tutti possono essere criticati, ma non si può dimenticare che la storia del Napoli, prima dell’era Maradona, è stata una storia mediocre e tale è tornata dopo che Diego è andato via.
 
Quindi qual è il suo giudizio sulla gestione, oramai quindicennale, di De Laurentiis?
Da un punto di vista imprenditoriale si tratta di una gestione senza dubbio eccellente. Da un punto di vista passionale, invece, più lacunosa. A parte l’acquisto di Higuain, non riesco a ricordare altri acquisti che siano stati capaci di infiammare il tifo. Se gli devo trovare un difetto, direi che ha un eccesso di lucidità, che a Napoli diventa una caratteristica imperdonabile. Lui, inoltre, si vede costantemente in contrapposizione con la città e comunica male.
Io ho l’impressione che questo sia dovuto ad un pregiudizio di fondo. I napoletani sono convinti di aver fatto arricchire un uomo che non lo merita, mentre De Laurentiis pensa di aver salvato dal fallimento una squadra altrimenti destinata all’oblio. Secondo lei questa può essere una chiave di lettura?
Credo di sì. De Laurentiis è arrivato nell’unica grande città italiana che ha una sola squadra di calcio. Napoli è tutta intorno alla squadra. Lui è stato un imprenditore bravo ma gli sfugge che la città desidera sicuramente un sogno, ma anche un dialogo più frequente ed intenso con il proprio presidente. Dovrebbe forse vivere di più Napoli. Ferlaino è stato visto a lungo come parte integrante della città, lo si poteva incontrare per strada. Lui è visto come un estraneo. Per ricomporre la frattura dovrebbe essere in grado di dare vita ad una fase nuova. Una fase di sogno che può avvalersi di un grande allenatore e manager come Ancelotti, le cui qualità vanno sfruttate in questo senso. A Sarri, ad esempio, le qualità manageriali mancavano totalmente. Sarebbe un peccato non sfruttare questo momento. Un’altra idea potrebbe essere un investimento su una scuola calcio vera a Napoli. Potrebbe essere un modo per avvicinare la squadra e la città più di quanto non sia stato fatto sinora.

 

 

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