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Garlando sulla Gazzetta: “Il nervosismo di Allegri è la consapevolezza che CR7 non basta”

Risultatisti contro Giochisti. Il calcio è cambiato. “La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli”.

Garlando sulla Gazzetta: “Il nervosismo di Allegri è la consapevolezza che CR7 non basta”
Cristiano Ronaldo

Quelle tra Allegri e Adani su Sky? Solo carezze. Le definisce così Garlando, sulla Gazzetta dello Sport. E ricorda una lite molto più violenta, quella tra due giganti del giornalismo sportivo, il lombardo Gianni Brera e il napoletano Gino Palumbo, in tribuna stampa, a Brescia.

Palumbo accolse Brera dandogli un ceffone. Quello, da buon ex pugile, gli rispose con un diretto all’occhio. Fu ko, senza esclusione di sangue.

“Brera rimproverava alla scuola napoletana scarsa competenza tecnica e l’enfatica esaltazione dello spettacolo a discapito del risultato”.

Per la scuola napoletana, a detta di Brera, una partita era bella solo se si segnavano tanti gol.

Un’analogia, scrive Garlando, con il rimprovero mosso da Allegri ad Adani. Insomma, il dibattito intorno alla bellezza del gioco e al punteggio esiste da sempre e ogni tanto torna in auge.

“Alla vigilia della finale di Coppa Campioni del 1989, Arrigo Sacchi lesse ai giocatori un articolo di Brera che presentava la Steaua Bucarest come maestra di palleggio e consigliava difesa e contropiede. Gullit si alzò in piedi: «Noi li attacchiamo dal primo secondo con il nostro gioco». Era quello che voleva sentirsi dire Sacchi. Per due anni aveva lavorato all’idea”.

E Sacchi è uno di quelli che con Allegri si è scontrato più volte.

Secondo Allegri giocare bene è facile, basta spingere avanti i terzini.

“Puntare sul gioco non significa colpi di tacco a salve e il «circo» di cui parla spesso Allegri. Significa allenare un’idea condivisa che regola la circolazione della palla e il movimento dei giocatori. L’idea ripetuta diventa stile. Il Liverpool di Klopp attacca sempre a quel modo, l’Atalanta di Gasperini pure. Non conta l’avversario”.

Chi ha un gioco, scrive Garlando, tiene al possesso palla e all’attacco continuo. E’ uno stile inconfondibile quello dell’Ungheria di Puskas, del Brasile di Pelé, dell’Ajax di Cruijff, del Milan di Sacchi e del Barcellona di Guardiola.

“Squadre che hanno vinto perché belle, non belle perché hanno vinto”.

E’ l’armonia di gioco che le ha rese belle. Anche chi sostiene l’importanza del bel gioco vuole vincere, non solo quelli che puntano solo al risultato. Garlando chiama i primi “giochisti” e li contrappone ai secondi, i “risultatisti”. Ma i giochisti vogliono vincere con merito, come insegnava Aristotele:

“La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli”.

Secondo i giochisti è la squadra che migliora il giocatore, non il contrario.

“Gullit e Van Basten hanno vinto 4 Palloni d’oro in due al Milan, non prima. Gasp ha trasformato in uomini mercato una manciata di sconosciuti. L’Ajax di Ten Hag ha permesso a talenti sbarbati di giocare con la personalità dei grandi, perché ingigantiti dalle conoscenze. Non è vero che l’Ajax ha vinto con quattro ripartenze. Ha dominato grazie alla superiorità di un gioco che la Juve, ricca di campioni, non ha. Infatti nella difficoltà ha potuto aggrapparsi solo a CR7”.

Veniamo alle letture

I risultatisti hanno letto Machiavelli e la sua lezione sul fine che giustifica i mezzi. Non hanno letto Dostoevskij, per il quale è la bellezza che salverà il mondo.

I risultatisti:

“non hanno una strategia a prescindere, ma una tattica che tiene conto delle lacune degli avversari. Ogni partita è il tentativo di far entrare il cavallo entro le mura di Troia”.

Vogliono solo la vittoria: non hanno bisogno di correre rischi per incantare.

“Si affidano alle sicurezze difensive e puntano più su giocate e giocatore che sul gioco. «Sono i campioni che fanno vincere», ha detto spesso Allegri”.

Anche i risultatisti possono giocare bene, scrive Garlando, come l’Inter del Triplete o l’Atletico Madrid di Simeone e tante altre. La differenza è che non lasciano importanti eredità ideologiche.

“Anche la Juve di Allegri ha giocato spesso bene, ma non è un caso che le due partite migliori, a Madrid col Real, e a Torino, con l’Atletico, le abbia giocate spinte dalla disperazione di una rimonta quasi impossibile, attaccando con impeto e senza pause, tutti insieme, come fanno le grandi squadre. Per scelta, però. Stremato dalla rimonta sull’Atletico, Spinazzola ci ha messo 3 settimane a riprendersi perché quell’intensità offensiva, che per altri è regola, per la Juve è eccezione. Allegri non l’ha allenata in campionato, convinto che bastasse mettere il muso avanti”.

Il calcio però è cambiato. E’ necessario minimo sindacale di bellezza.

“Oggi la Champions, come dimostrano le semifinaliste, premia solo un gioco di alta qualità, coraggioso e collettivo. CR7 non basta. Il sospetto è anche alla Juve tanti se ne siano convinti, dopo il trauma Ajax. Il nervosismo televisivo di Allegri, che sta per discutere il suo futuro, si spiega anche così”.

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