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Il fantasma di Hamsik e la sindrome del “quando c’era lui”

Ogni volta che qualcosa non va nel verso giusto, riaffiora la figurina di Marek. Che in realtà, oggi, ben poco avrebbe potuto dare a questo Napoli

Il fantasma di Hamsik e la sindrome del “quando c’era lui”

La conferma del terzo principio della dinamica

Marek Hamsik, a Napoli, nell’ambiente napoletano, è la conferma del terzo principio della dinamica.

Se un corpo A esercita una forza su un corpo B, allora il corpo B esercita su A una forza uguale e contraria

Dove per corpo B intendiamo il fantasma di Hamsik che viene vivificato in territorio napoletano ogni qual volta qualcosa non va nel verso giusto. È il rapporto – a parere di chi scrive patologico, perverso – che una discreta fazione ha col ricordo dell’ex capitano del Napoli e del calciatore che ha segnato più gol di tutti con la maglia del Napoli. E che a febbraio ha scelto – spontaneamente, lo ha fortemente voluto – di andare a concludere la sua carriera nel campionato cinese. Una scelta rispettabile e condivisibile da parte di un professionista.

I treni passavano in orario

A Napoli succede che appena qualcosa va storto – e le partite contro Empoli e Genoa sono andate decisamente male – riaffiora il fantasma di Hamsik. Una edizione riveduta e corretta del “quando c’era lui”. Ancora non circolano quadretti con poesiole in rima: “Caro Marek, eri un puzzone ma quando c’eri tu le cose andavano benone”. Però il concetto è quello, il concetto dei treni che passavano in orario.

Su un aspetto, su un punto, concordiamo con la tifoseria. Il Napoli, per due cessioni e per un infortunio, è passato dall’avere sei centrocampisti in rosa fino a tre. Quel che Ancelotti e la società non si aspettavano era l’infortunio di Diawara che ha provocato due conseguenze negative: ha provato il Napoli del quarto centrocampista di ruolo, e ha impedito a Diawara di giocare con discreta continuità in questo finale di stagione.

Ma Hamsik col calo del Napoli, con le due partite di fila sbagliate dalla squadra di Ancelotti, non c’entra niente. Non ci addentriamo qui nel giudizio complessivo di Marek Hamsik. È una bandiera, lo è stata. Un calciatore simbolo. Non un fuoriclasse – questo si può dire – ma nemmeno Bruscolotti lo era. Neanche Juliano che pure era probabilmente il più forte dei tre. Si è bandiera a prescindere dal proprio valore tecnico-tattico.

Il calcio cobra di Ancelotti

Ora il suo fantasma ha assunto il ruolo del contrappeso. Non appena qualcosa non gira nel verso giusto, il lenzuolo formato Hamsik torna visibile. Affiora sui social, nei commenti di chi sproloquia di calcio in radio e in tv. Eppure era evidente a tutti che Hamsik quest’anno – e anche lo scorso anno – non era più lo stesso. Aveva perso il proprio smalto. Gli anni passano per tutti. Ancelotti aveva provato a regalargli qualche anno di più, e aveva arretrato il suo raggio d’azione di qualche decina di metri. A differenza di quanto si sente in giro, il calcio di Ancelotti è perfettamente riconoscibile. Ed è un calcio che si poggia molto sul recupero del pallone e sulle accelerazioni. È un calcio cobra, pur non essendo un calcio di contropiede o di ripartenza. Anzi.

Caratteristiche che evidentemente Hamsik non ha. Non ha più. Ne aveva altre. Possiamo provare a comprendere i nostalgici, pur nelle difficoltà di chi non lo è. Chi scrive, dopo trent’anni, continua ad avere nostalgia di Salvatore Bagni. E continua a pensare che in quel Napoli – sia il primo sia il secondo – Hamsik non sarebbe mai stato titolare. Ma questo non sminuisce il valore calcistico ed emotivo di Hamsik che è stato anche un giocatore molto amato dai bambini. Dettaglio tutt’altro che irrilevante.

Ma pensare che il Napoli avrebbe avuto bisogno di Marek per portare a casa qualche punticino in più contro Empoli e Genoa, si commenta da sé. E la scelta di Hamsik – andare in Cina – ha chiarito anche quale fosse il giudizio del calciatore sulle proprie prospettive. Sapeva di aver praticamente chiuso, o di essere prossimo alla chiusura, con il calcio europeo ad alti livelli.

È francamente emozionante guardare la mediana composta da Fabian Zelinski e Allan. Dà l’idea di una società costantemente proiettata sul futuro, al passo coi tempi, che non si rinchiude nel proprio guscio. La nostalgia non sappiamo proprio che cosa sia. Anche per un calciatore che ha fatto la storia del Napoli.

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