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I tifosi napoletani come i bambini; prima pretendono poi fischiano

La prestazione del Napoli è stata indegna, ma più indegno l’atteggiamento di una parte della tifoseria che pretende di vincere e se non vinciamo butta a mare il bambino con tutti i panni

I tifosi napoletani come i bambini; prima pretendono poi fischiano
Ancelotti, Insigne, Arsenal

Un Napoli immaturo, quello sceso in campo ieri contro l’Arsenal al San Paolo. Immaturo e senza esperienza. A partire dal madornale errore di Meret nel posizionare la barriera (che oggi gli ha fruttato voti bassi in pagella) e nel non avere la freddezza di coprire proprio il suo palo. Il portiere lo ha lasciato scoperto anticipando la partenza del pallone per spostarsi verso destra, esattamente dove c’erano già i compagni a difendere.

Proseguendo con Callejon, che ha calciato in modo debole, con la paura nei piedi, cosa che non ti aspetti da un calciatore del suo livello. Ma gli esempi si sprecano: Zielinski, Milik, Maksimovic…

Immaturo il pubblico, quei fischi ad Insigne sulla sostituzione sono l’epilogo di mormorii iniziati durante il riscaldamento, quando l’attaccante non è riuscito a mettere neanche un pallone in porta. Immaturo Insigne nella sua reazione alla sostituzione e ai fischi che condannavano la sua prestazione, non certo esemplare, ma sicuramente figlia di una pressione eccessiva sulle sue spalle, dovuta al fatto di essere napoletano.

La sua sfortuna. Perché i napoletani, dai loro conterranei, pretendono e basta, come recitavano gli osceni striscioni della vigilia. Un napoletano, solo perché nato all’ombra del Vesuvio, deve vincere, deve onorare l’appartenenza, non può permettersi passi falsi. Da lui si pretende il massimo, sempre. Altrimenti non è degno di appartenere alla stirpe superiore dei partenopei.

Ad ascoltare i commenti da bar oggi, qualcuno dice che Ancelotti ha trattato Lorenzo come un ragazzino di una scuola calcio: sbagli un’azione ed esci, perché l’obiettivo è vincere. Ma in una partita ad eliminazione diretta come il ritorno dei quarti di finale la possibilità di uscire si gioca in 180′ e ogni errore può essere fatale. Soprattutto quando in panchina hai Mertens che, insieme a Milik, ti sta risolvendo gran parte delle grane che hai nelle tasche. Non ci può stare, invece, la reazione del calciatore, che si mette accanto alla panchina indispettito e a cui fa seguito l’arrabbiatura del padre. Anche lui pretende, come i genitori dei ragazzi delle scuole calcio, appunto, per tornare al parallelismo iniziale.

I fischi del pubblico, tuttavia ci sembrano ingiustificati. Ingiustificato l’atteggiamento di quanti, all’80’, hanno scelto di abbandonare lo stadio, dimenticando che la palla è rotonda, che se pure il passaggio del turno può sembrare un’impresa, l’impresa è sempre possibile fino all’ultimo secondo. Perché anche 3 gol si possono segnare nel giro di 5 minuti. È la mazzaria del pallone, forse la cosa che ancora ci piace di più, che ancora giustifica l’attaccamento ad uno sport che ha perso da tempo i suoi valori sportivi, di pulizia, di squadra.

Un atteggiamento assurdo e da cui prendere le distanze. Al pari degli striscioni con la pretesa della vittoria apparsi in città nei giorni precedenti al match. Ma tant’è: è lo stesso pubblico che pretende  quello che fischia e lascia lo stadio prima che finisca la partita e che – per giunta – fischia l’unico calciatore napoletano in squadra, perché non rende in cambio l’appartenenza. Ma quale appartenenza può vantare un pubblico che non si mette in discussione, che non entra in campo neppure metaforicamente, che non sostiene fino all’ultimo istante della partita, che non partecipa? Un pubblico a cui bastano 70′-80′  per preferire il ritorno a casa?

Ci lamentiamo tanto che i tifosi juventini non hanno una città a cui sentirsi legati, che molti vengono dal sud, perché a Torino si tifa granata e non la squadra della famiglia Agnelli. Ma è davvero migliore la nostra – solo apparentemente – tanto declamata appartenenza? La nostra partecipazione?

La prestazione del Napoli, ieri, è stata indegna, ma più indegno ancora è stato l’atteggiamento di una parte della tifoseria, quella che pretende di vincere e, se vinciamo, si sente parte del progetto e veste i colori della squadra, ma se non vinciamo butta a mare il bambino con tutti i panni.

Tanto i panni di questa parte della tifoseria restano lindi e pinti: per nulla sporchi di sudore. Scrivere uno striscione non richiede poi così tanta fatica.

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