ilNapolista

Il caso Collovati-misoginia visto dagli Usa: «Qui impensabile un suo ritorno in video»

Intervista alla giornalista Angela Vitaliano: «In Italia intervistano la moglie. Negli States due anni fa un video con gli uomini che leggevano gli insulti a due giornaliste, e si commuovevano»

Il caso Collovati-misoginia visto dagli Usa: «Qui impensabile un suo ritorno in video»

Colloquio con Angela Vitaliano

In Italia si parla molto di machismo nel giornalismo sportivo. C’è stata la frase di Collovati – “quando sento una donna parlare di tattica, mi si rivolta lo stomaco” che è costato all’ex difensore quindici giorni di sospensione dalla Rai. Poi Costacurta in versione uomo delle caverne (“Se mia moglie avesse detto quello che ha detto Wanda Nara, l’avrei cacciata di casa”) sia pure con successivo pentimento. Oggi ne ha scritto Gianni Mura nella sua rubrica domenicale su Repubblica “Sette giorni di cattivi pensieri”.

Abbiamo così pensato di chiedere ad Angela Vitaliano, una giornalista che vive da oltre dieci anni negli Stati Uniti, a New York, se in America si siano mai stati casi simili. Se è possibile ipotizzare un caso Collovati negli States. Le sue risposte ci offrono la visione di una realtà completamente diversa, decisamente distante dalla nostra.

«L’intervista alla moglie è indicativa di una certa cultura»

«La sospensione di quindici giorni dalla Rai – dice Vitaliano – è un provvedimento che denota in sé quanto la misoginia sia normalizzata e accettata: in Usa perlomeno, Fulvio Collovati continuerebbe giustamente a essere ricordato e apprezzato per le sue qualità calcistiche e per averci regalato una Coppa del Mondo, ma per il resto non avrebbe più una piattaforma importante come quella della televisione pubblica (né di altre) per esprimere commenti così misogini e offensivi.

Collovati – prosegue – è figlio di una società misogina così come sua moglie che lo ha difeso. Il vero problema è che i media si sono precipitati a sentire l’opinione di sua moglie come se questo potesse “assolvere” l’ex calciatore dal peso delle sue stesse parole. Tante donne giustificano e tollerano la misoginia perché sono cresciute in una società patriarcale in cui gli uomini decidono quali spazi, poteri, ambiti concedere e a quali condizioni e, per questo, non hanno una reale coscienza di quanto tutto ciò possa essere offensivo e violento. La responsabilità, piuttosto, è di chi non si fa promotore in maniera concreta di una cultura diversa, moderna, civile, equa.

Faccio un esempio: nel 2016, il sito “Just not sport” realizzo’ un video https://youtu.be/9tU-D-m2JY8 in cui due commentatrici sportive, Sarah Spain e Julie Di Caro, ascoltavano la lettura di una selezione di tweet violenti e offensivi a loro rivolti. A “declamare” i messaggi non gli autori dei tweet, ma uomini che li leggevano per la prima volta. Si va da commenti più “leggeri”, diciamo così, riferiti spesso all’aspetto fisico, a quelli terribili in cui alle due donne vengono augurate forme di violenza di ogni tipo.

Ciò che è significativo in questo video, ripreso dagli organi di stampa più importanti, è la reazione degli uomini che mostrano disagio concreto e oggettiva sofferenza nel leggere quelle cose. Spesso si fermano, con gli occhi lucidi e continuano a dire “scusa”. La potenza mediatica di questo messaggio è enorme. Discutere se Collovati debba essere “punito” o no è egualmente “enorme”, purtroppo in senso opposto. E, chiarisco, non si tratta di punizioni, si tratta di comprendere che il linguaggio è la colonna portante del mondo in cui viviamo: normalizzare certe frasi o “sminuirle” come “innocue” e esattamente grave come giustificare il rivolgersi alle persone di colore chiamandole “vu cumprà”. Comunque lo scorso ottobre due commentatori di ciclo cross, Brad Sohner e Larry Longo, si sono lasciati andare a giudizi misogini sulle atlete in gara e sono stati immediatamente licenziati dal network che li aveva assunti».

Negli Stati Uniti ci sono giornaliste che si occupano di tattica nel calcio, nel basket e in altri sport?

Sì ce ne sono moltissime oltre a quelle già citate prima. Lo scorso settembre, per la prima volta, una partita di football è stata  commentata solo da due donne: Hannah Storm e Andrea Kremer hanno raccontato la sfida fra i Los Angeles Rams e i Minnesota Vikings.

Da che cosa deriva questa mentalità retrograda che c’è in Italia? È una questione di educazione, di cultura, di forma?

«L’Italia è un paese patriarcale molto più di altri. Potrei elencare esempi che ci mostrano sempre qualche passo indietro già solo nei tempi: dal voto alle donne, al riconoscimento dello stupro come reato verso la persona e non verso la morale, per non parlare di tutto ciò che ruota intorno al concetto di molestia e abuso sessuale. Pur di non affrontare un’emergenza sociale che richiederebbe una rivoluzione culturale a tutto tondo, ormai siamo al punto che se si evidenziano situazioni di misoginia si risponde “ma dai lascia perdere pensiamo alla violenza seria”. Ma che significa? Per non parlare di quelli che risolvono tutto dicendo che non accettano “il tribunale del web”. Se non fosse tutto molto grave, sorriderei.

Innanzitutto bisogna distinguere la legislazione dalla reazione sociale di fronte a certi fatti. La legislazione, intanto, in tutti i casi prevede pene diverse a seconda della gravità del reato compiuto. Non si capisce perché quando si parla di reati sessuali, sembra si debba dare dignità solo a quelli in cui c’è “il morto”. La legge è perfettamente in grado di distinguere fra molestia e stupro e quindi non comprendo perché si dovrebbe perseguire solo il reato “più grave”. E poi c’è la reazione sociale. La cultura, il progresso, l’evoluzione si realizzano prima nella società e poi nella legislazione. È sempre stato cosi. La società spinge i cambiamenti giuridici perché per fortuna ci si evolve.

Da un anno e mezzo in USA, #metoo e #timesup stanno mettendo in pratica quella rivoluzione culturale che da noi non è nemmeno partita, ahimè. Non trovo strano che questi due movimenti non abbiano avuto nessuna eco in Italia, perché non esiste un movimento femminista unitario e forte (senza nulla togliere alle azioni importantissime di gruppi e associazioni che, però, restano relegate a situazioni locali); i media sono imbevuti di misoginia in maniera quasi imbarazzante e, invece, avrebbero dovuto sposare e sostenere questa rivoluzione e non ci sono esponenti del mondo della cosiddetta società civile che siano diventati leader di questa causa.

In più, ciò che sta alla base di #metoo e #timesup è stato malamente liquidato come una guerra contro gli uomini che invece sono rappresentati solo come dei simpatici romanticoni. Cose che non si possono sentire. Le donne sanno benissimo se e quando vogliono fare sesso e non devono essere “convinte”, non siamo nel 1930 e se una donna dice no è no. E sul luogo di lavoro, soprattutto se sei un superiore, tieni a posto le mani, gli occhi e la lingua perché nessuna persona seria può pensare che gli uomini siano cosi patetici da non riuscire a controllare i propri ormoni. Qua è considerata “molestia sessuale” i cosiddetti “elevator eyes”, cioè lo sguardo di chi tu squadra da capo a piedi senza ragione. 

ilnapolista © riproduzione riservata