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L’anomalia Ancelotti: niente alibi, i gol arriveranno con il lavoro

Serve la consapevolezza che c’è da migliorare. La cura del dettaglio aiuta la mente, soprattutto per un gruppo che di fatto che ha interiorizzato la sconfitta

L’anomalia Ancelotti: niente alibi, i gol arriveranno con il lavoro
Ancelotti a Parigi col figlio Davide (Ssc Napoli)

Un ambiente malato di alibi

“C’è un uomo solo al comando, la sua maglia è azzurra”. E non biancoceleste come disse Mario Ferretti dell’immenso Fausto Coppi. Prendiamo a pretesto in modo bonario – è bene sottolinearlo, non si sa mai – la più celebre radiocronaca sportiva italiana per rendere l’immagine di Carlo Ancelotti dopo il pareggio di ieri sera tra Napoli e Torino. Zero a zero. Il terzo zero a zero in quattro partite. Il secondo consecutivo.

In un ambiente che ormai si è ammalato in maniera cronica di juventite, e che sembra ben lontano dalla via della guarigione, Ancelotti ieri sera ha sgombrato il campo da qualsiasi equivoco. Disse Ottavio Bianchi, allenatore incredibilmente sottovalutato da queste parti: «A Napoli se ti trovi un alibi, sei morto».

Ecco, Ancelotti lo sa bene. Ieri sera ha eliminato a uno a uno i possibili alibi cui i suoi calciatori potrebbero appigliarsi per la mancanza di gol. E ha chiamato in causa anche sé stesso. Perché l’allenatore è lui. Le sue dichiarazioni ci sono piaciute moltissimo, decisamente di più rispetto a quelle di Firenze quando aveva detto che «la freddezza sotto porta non si può allenare». Se pure fosse vero, è una frase che non ci è piaciuta ascoltare. Suona come deresponsabilizzante.

La consapevolezza

Ieri sera, invece, il suo è stato un crescendo rossiniano. Pur ricordando sempre che la squadra gioca bene, ma c’è un problema: non si segna. Ha cominciato col depennare il termine sfortuna. Del resto la sua Reggiolo dista appena 44 chilometri da Modena città natale di Enzo Ferrari colui il quale pronunciò la frase che andrebbe scolpita in ogni spogliatoio (e non solo): “La sfortuna non esiste”.

E ha continuato. Ha chiamato in causa la cultura del lavoro. La cura del dettaglio. La maniacalità che occorre quando bisogna migliorare un livello già alto. Anche la questione stadio vuoto l’ha smontata in poche battute: «Siamo la squadra che dopo la Juventus ha ottenuto più punti in casa». Caso chiuso.

Una stoccata l’ha tirata. «Dobbiamo essere consapevoli che si sta sbagliando sotto questo aspetto». La consapevolezza è un passaggio fondamentale. E hai la consapevolezza solo se elimini qualsiasi altra giustificazione. Se non segni, è colpa tua. Vuol dire che sbagli qualcosa. Non è mai un caso quando vinci, così come non è un caso quando non vinci.

«Dobbiamo essere consapevoli che si può migliorare. che possiamo essere un po’ più precisi nei cross, un po’ più precisi nei passaggi, un po’ più precisi nei tiri. È un problema di consapevolezza». Così ha detto. Con il rigore e la precisione di chi ha ben chiaro davanti a sé il problema. «Che possiamo risolvere con più precisione, più collaborazione, più combinazioni, più precisione nelle finalizzazioni».

Un gruppo che ha interiorizzato la sconfitta

Ancelotti ha tenuto la barra dritta sull’etica del lavoro. L’unica strada percorribile per migliorare. Per crescere. Superare i propri limiti. Che non sono obbligatoriamente tecnici. Non è la tecnica in sé. Perché quel gol in allenamento lo segni. E in partita no. Devi allenare la mente a reggere la tensione. A eseguire quel colpo in quelle che Ancelotti ha definito “condizioni ambientali diverse dall’allenamento”.

È un concetto molto caro a noi del Napolista. È la definizione, che più volte abbiamo riportato, di Rino Tommasi: «la differenza tra un campione un fuoriclasse è che il fuoriclasse gioca il colpo vincente nel momento decisivo». Solo chi non capisce, può parlare di fortuna. Devi avere anche la fame di voler migliorare. Devi avere il coraggio di guardarti dentro e sapere che quello che hai fatto non è ancora abbastanza. Non è semplice. E alla lunga è pure comodo adagiarsi sulla sfortuna.

C’è da fare i conti con un gruppo che di fatto ha interiorizzato la sconfitta. Le dichiarazioni di Insigne a Zurigo hanno fatto quasi tenerezza. “Ci siamo scocciati di non vincere niente”. Non proprio niente, aggiungiamo noi. Ma ci si abitua anche alla sconfitta, involontariamente. Arrivare a vincere significa cambiare le abitudini, vuol dire cambiare qualcosa nel proprio percorso. Perché ci sarà un motivo se quel percorso fin qui non ti ha portato alla vittoria. Ed è un cammino lungo, doloroso, di rinunce, di sconfitte brucianti – e ne sa Carletto, quanto ne sa, da Perugia a La Coruna a Istanbul, e ce ne sono anche altre – ma anche e soprattutto terribilmente esaltante. Scoprire dentro di sé di poter valicare limiti che sembravano invalicabili, regala energie insospettabili e insospettate. Ancelotti è convinto che questo gruppo, questo Napoli possa farlo. Altrimenti non sarebbe venuto qui. Ma serve la consapevolezza di tutti che c’è da lavorare per migliorare. È il passaggio chiave di ieri sera.

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