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L’Italia chiude le scuole il giorno dopo

Un Paese fondato sullo scarico preventivo di responsabilità. E dove nessuno aveva previsto disastri meteo né le raffiche record di vento.

L’Italia chiude le scuole il giorno dopo
L'albero caduto in via Tasso, a Napoli

Scrivo questo pezzo ma non potrei, perché di là c’è mio figlio, che non dovrebbe essere di là ma a scuola. Solo che le scuole son chiuse perché oggi, a Napoli, è il giorno della conta “dei notevoli danni della non prevista, nella sua eccezionalità, ondata di maltempo, tenuto conto della sola allerta gialla, criticità ordinaria, diramata dalla competente Protezione civile”. Ieri, mentre si abbatteva sulla città l’eccezionale ondata di maltempo, le scuole erano aperte.

Non è la lobby delle babysitter che ci ha messo la manina (e gli insegnanti, signora mia… gli insegnanti!), è che in queste due righe del Comune di Napoli c’è un sottotesto che racconta l’Italia che s’incarta nello scarico preventivo delle responsabilità. Lo sport nazionale di questo pavido periodo storico in cui meno si fa meno si sbaglia, che se ne frega del morituro senso del ridicolo e affoga tutto in un catenaccio burocratico costante. Allerta giallo paglierino, allerta rosso pompeiano… e le amministrazioni locali alla rincorsa, sperando di non incappare nell’errore che ti costerà l’avviso di garanzia e una prima pagina sul giornale.

La post-sicurezza

Capiamoci, farsi belli col senno di poi, soprattutto nelle tragedie, è odioso: la cronaca degli alberi abbattuti, delle vittime, e del vento che pure a Napoli non soffiava così forte dal 1991, è una riproposizione scontata del “te l’avevo detto”, e suona sempre brutto. Il fatto è che stavolta non l’aveva detto nessuno, il sistema si è incantato dopo che non più tardi di due settimane fa le scuole napoletane erano state chiuse per un allerta “arancione” che si era infine tradotta in un lunedì quasi estivo. Oggi, dunque, si chiude il giorno dopo, come per recuperare una prudenza che a posteriori non si sa che senso abbia. E così – tornando a mio figlio in cameretta a giocare coi Lego – si eleva a prassi gestionale un cortocircuito logico: ieri era pericoloso, oggi chiudiamo tutto. Le scuole, le strade. Si chiudono gli alberi, soprattutto. Invece della post-verità, la post-sicurezza.

Funziona così ovunque: sulle competenze di sponda, quelle che al gioco del rinfaccio fanno sempre somma zero, va avanti una partita di piccolo cabotaggio, che spesso val bene un processo in meno. Il Ponte Morandi, e il pantano burocratico dal quale la magistratura cerca di tirar fuori le responsabilità, è un copione perfettamente rappresentativo, in grande, dei tanti piccoli drammi che si consumano senza colpevoli nella gestione della cosa pubblica.

La mancanza di prevenzione

Leggete l’intervista di Ilaria Puglia a Elio Alongi, il fratello della donna uccisa da un albero a Napoli il 10 giugno 2013. È istruttiva. Tra le altre cose il signor Alongi dice che è “avvilente”, i giornalisti lo chiamano ogni volta che un albero pericolante cade e sotto rischia di restarci qualcuno. Non cambia mai niente, perché “non ci sono i soldi” è un mantra autoassolutorio che rimbambisce alla lunga un po’ tutti, l’amministratore pigro e il cittadino che si incazza con la mano destra mentre la sinistra assolve.

Ci sarebbe da farsi carico, tutti, del fardello del climate change, che è una questione globale. La gestione schizofrenica delle allerte da parte della Protezione Civile (e la risposta uterina delle amministrazioni comunali) è invece una bega molto locale ma di proporzioni nazionali. E attiene al “prima” di cui parliamo: la cura preventiva, quella tanto cara ai dentisti della nostra generazione. Le cose fatte per bene, con un po’ di coscienza. Invece in Italia anche la prevenzione che supera le maglie del “non ci sono soldi” è una roba spesso buttata lì, arrangiata, tanto per fare.

A Napoli avete mai assistito alla potatura degli alberi cittadini? Nemmeno noi, perché “non ci sono i soldi”… ma pare che prima si facesse, e se chiedete ai vostri padri, ai vostri nonni, ve lo confermeranno (è la bellezza della tradizione orale): lsu, operai non meglio specificati armati di motosega che indipendentemente dalla stagionalità, tagliano e rasano, abbattono e sfondano, piante secolari di natura molto diversa. E, segnatevelo, nella bufera generale gli unici a pagare sono sempre gli alberi.

“Pino assassino” è un titolo da desk preconfezionato, pronto all’uso e sempre riciclabile. Suona bene. I “pini assassini” sono in mezzo a noi, incombono dall’alto delle loro stanche chiome. Ieri non c’era pericolo, perché quello è un colore che abbina la “competente” Protezione Civile, non altri. Oggi sì. Da noi la teoria del caos si fa pratica quotidiana. Nel caso napoletano, poi, essendo la città, e non solo le casse comunali, in pre-dissesto (economico, sociale, culturale), vien da sé che l’abbandono generalizzato sia l’unica strada percorribile. Tanto poi il “dopo” è gestibile più del prima: dopo si accerta, si perdona, si condona. Il “prima” costa fatica, intelligenza, soldi, programmazione.

“Winter is coming”, persino da queste parti: pioverà, e tirerà vento. Funziona proprio così, a dispetto delle agognate mezze stagioni. A scanso di equivoci preallertiamo noi: l’allerta sarà rosso pompeiano fisso, perché la grande domanda – “Chi se ne prende la responsabilità?” – ha una sola risposta sicura: “Non io”. Un Paese che muore ma “le carte sono a posto”. Farsene una ragione è il minimo. Mio figlio è di là che pensa già al prossimo ponte, io cerco su google “istruzione domiciliare”.

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