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Ponte Morandi, nella giungla della burocrazia sarà molto difficile trovare una chiara responsabilità

Finalmente un indagato che non fa scena muta agli interrogatori, si tratta di Bruno Santoro Il conflitto di Claudio Gemme come commissario per Genova

Ponte Morandi, nella giungla della burocrazia sarà molto difficile trovare una chiara responsabilità

Finalmente un indagato che non fa scena muta, il primo. Si tratta di Bruno Santoro, dirigente della prima Divisione alla Direzione generale della vigilanza sulle concessionarie autostradali ed ex membro della commissione di inchiesta del Mit, interrogato ieri dai pm.

Santoro: “Non avevo il compito di vigilare sul ponte”

Santoro ha risposto alle domande del sostituto procuratore Massimo Terrile spiegando che, nonostante l’ufficio di cui era a capo portasse nel nome la parola “vigilanza”, la prima Divisione (una delle sette del Mit) non aveva in realtà il compito di vigilare sulla tenuta e sulla sicurezza del ponte.

Accanto ai suoi avvocati, Giorgio Beni e Maurizio Mascia, ha spiegato ai pm di non aver mai nemmeno visto il progetto di retrofitting per il rinforzo strutturale dei piloni 9 e 10 del ponte Morandi. Anche perché alla Divisione 1 è arrivato il 23 marzo, quando l’iter del progetto era già definito.

Intervistato da Il Secolo XIX Santoro dichiara di stare vivendo male questo periodo, “perché essere accusati da innocente è una cosa molto difficile da accettare”. Conferma di non avere mai avuto percezione che il Morandi rischiasse di crollare e nega che esistesse, a suo carico, un conflitto di interessi per le consulenze che aveva avuto da Aspi negli anni scorsi: “Si tratta di incarichi che ho avuto come membro del consiglio superiore dei lavori pubblici. E che riguardavano opere come la bretella di Fiano che nulla hanno a che vedere con il Morandi. Aggiungo che mi sono dimesso dalla commissione non appena ho ricevuto l’avviso di garanzia”.

I ruoli poco chiari al’interno della Direzione vigilanza del Mit

Dall’interrogatorio di Santoro, scrive sempre Il Secolo XIX, emerge che nell’ufficio del Ministero che doveva teoricamente indagare sulla sicurezza del Morandi i ruoli non fossero proprio chiarissimi: “Agli atti dei pubblici ministeri sono finiti ricorsi e richieste di parere legali che i vari dirigenti avevano inoltrato agli avvocati del ministero per capire quali fossero le varie responsabilità e il raggio d’azione di ognuno. Alcuni (ritenuti dalla Procura ‘interessanti’) risalgono ai mesi precedenti al crollo del Morandi, altri invece, sono successivi”.

Insomma, al Mit, secondo quanto emerso dalle carte acquisite dalla Finanza, ci sono pareri contrastanti sui compiti delle otto direzioni che devono rispondere alla direzione generale guidata da Vincenzo Cinelli anch’egli indagato per il crollo.

Tra le carte acquisite dai pubblici ministeri, continua Il Secolo XIX, “ci sarebbe anche un carteggio tra la direzione e il provveditore alle opere pubbliche di Liguria, Piemonte e Lombardia Roberto Ferrazza (anch’egli indagato) su ruoli e compiti dopo la decisione del Mit di far approvare gli interventi da un comitato tecnico dello stesso Proveditorato. Un modus operandi entrato in vigore da circa un anno che non era stato definito – secondo quanto emerge dai primi accertamenti – in maniera completa. Senza dimenticare che a Genova esisteva un ufficio apposito che aveva compiti di controllo e all’interno del quale lavoravano tredici persone. E il cui dirigente Carmine Testa figura tra i venti indagati della Procura per il crollo”.

Spetterà ai pm cercare di capire, in mezzo a questa giungla di burocrazia, chi, realmente, tra gli uffici di vigilanza di Genova o di Roma, dovesse vigilare sulle condizioni e la sicurezza del viadotto.

Il conflitto d’interessi di Gemme

Grande spazio oggi, sui quotidiani, alla figura di Claudio Andrea Gemme, probabile futuro commissario per Genova.

Il manager dichiara di aver già provveduto a mettere sul tavolo di Fincantieri le sue dimissioni, che saranno operative un minuto dopo la sua nomina a commissario per Genova, nomina che dà per scontata, dicendo che manca solo la formalità ufficiale.

A Repubblica, a proposito del conflitto di interessi che lo vede direttore di un’azienda Fincantieri, dice: “Il sottoscritto è un professionista, lo stesso vale per l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono. Abbiamo lavorato bene in squadra. Ma ora, come dire, giochiamo in due squadre diverse. Garantisco che non ci saranno interferenze”.

Gemme non appare per nulla preoccupato, piuttosto, dice, “incuriosito” dal fatto che sulle spalle del commissario si potrà scaricare di tutto: “Voglio vedere fino a che punto tutto questo potrà accadere e incidere sulla realizzazione del progetto”.

Al Corriere della Sera parla dei suoi interlocutori al governo (Di Maio, Conte, Salvini, Toninelli, Giorgetti e Rixi) dicendo che “si sono mostrati professionali, attenti, vogliono arrivare in fondo al progetto il prima possibile”, ribadisce che Fincantieri ha tutte le competenze e capacità per ricostruire il Ponte ma che le valutazioni saranno fatte anche in base al tipo di ponte che dovrà essere costruito e anche a proposito del progetto di Piano dice “cercheremo di capire che tipo di progetto funziona meglio”.

Allo stesso quotidiano, infine, parla dell’implicazione emotiva che ha l’incarico per lui, dal momento che i genitori possiedono una casa in via Porro, sotto il ponte, anche se vivono in campagna in Piemonte: “Mamma ha già fatto l’elenco delle cose che vuole prendere, mi ha già spiegato dove trovo questo o quell’oggetto. È chiaro che in questa storia per me c’è un impegno anche emotivo”.

Diversa la versione riportata da La Repubblica, che attribuisce a Gemme la seguente dichiarazione: “Beh per fortuna sfollati no (si riferisce ai genitori, ndr), nel senso che hanno già una sistemazione alternativa, una seconda casa che abbiamo in campagna. Sono ultranovantenni, hanno una badante alla quale ho detto di non fargli sapere nulla della nomina, di cambiare canale quando arriva il telegiornale. Mia madre mi chiamerebbe ogni cinque minuti per sapere quando possono riprendere le cose rimaste a casa…”.

La posizione del Codacons

In una nota, il Codacons minaccia di portare sul tavolo dell’Anac, Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, una contestazione puntata sulla violazione del codice degli appalti dal momento che Gemme potrebbe trovarsi a gestire una gara che potrebbe essere vinta i vedere tra i suoi partecipanti la sua stessa società di provenienza.

Lo riportano La Repubblica e Il Fatto chiarendo che questa è una situazione che, appunto, il codice degli appalti proibisce espressamente, indicandola tra i conflitti di interesse sicuramente da evitare.

I problemi che si pongono per Gemme sono sia il suo rapporto con Fincantieri che il suo ruolo di figlio di sfollati, dal momento che i suoi genitori sono anche tra gli interessati agli indennizzi e alla ricostruzione.

“Tutto dipenderà dalla sua posizione in quel momento – scrive La Repubblica – Se Gemme fosse in aspettativa rispetto a Fincantieri il conflitto sarebbe evidente. A parte l’esposto di Codacons, o di altri, l’Anac potrebbe chiedere chiarimenti e aprire un fascicolo anche solo sulla base di un articolo di un giornale perché il conflitto sarebbe lapalissiano. Se invece Gemme avesse già presentato le dimissioni a Fincantieri (come dichiarato da lui stesso oggi, ndr) la sua posizione si farebbe meno difficile. Anac potrebbe aprire ugualmente la contestazione, dopo averne approfondito però i presupposti giuridici, ma il suo esito in quel caso si farebbe più incerto”.

 

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