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Ancelotti è l’incarnazione di un non integralista

Ancelotti parla alla stessa maniera in cui lascia giocare la squadra, continua a dire che sta cercando di cambiare “qualcosa”

Ancelotti è l’incarnazione di un non integralista

Chi è un integralista, nel calcio?

Non essendo io un tecnico, non ne conosco una definizione ma azzardo una similitudine: un integralista è chi vive in attesa del tempo messianico, una persona che sposta una squadra verso la terra promessa. Ci sono molte possibili visioni profetiche nel calcio. Tante di esse vivono di utopie fortissime. Il guardiolismo ne è solo l’ultima incarnazione. Il susseguirsi quasi ipnotico di triangoli, il comandamento della palla corta e bassa in qualunque situazione, la richiesta fatta agli uomini di assorbire ed interiorizzare queste dinamiche fino a renderle puramente istintive, sono dettati dalla volontà di avvicinare – consci di non poter mai raggiungerlo – un obiettivo impossibile: possedere completamente il campo annullando l’avversario. Non a caso tale calcio deriva da quello “totale”, ed i suoi epigoni oggi più noti si chiamano “comandanti”. Quanto chiamiamo “integralismo” discutendo di pallone ha a che fare con un culto religioso fuori dagli stadi.

Una frase, tra le molte che ho ascoltato dal Mister Ancelotti, mi ha davvero colpito: “Ci sono i sogni e le utopie. Rincorrere un’utopia è un po’ azzardato. Rincorrere i sogni… manca poco. E quel poco che manca spero di riuscire a metterlo io”. Sembra la definizione operativa di un non-integralista. Che non so cosa sia nel calcio, ma altrove credo somigli allo spirito greco – oscillante tra la concentrazione su di sé dello “gnothi sautón” e il “vivi nascosto” epicureo, praticato anche in mezzo al campo. La frase di chi cerca un contesto familiare ma sa anche prescinderne. Uomo comunitario e solitario. Soprattutto senza un domani da raggiungere ma solo con luoghi da esplorare.

Ancelotti parla alla stessa maniera in cui lascia giocare la squadra, continua a dire che sta cercando di cambiare “qualcosa” – con la laconicità del meccanico che ti sta smontando un carburatore -, ci informa serenamente che non ha nessuna utopia. Ed il suo procedere appare labile, a qualche sprovveduto persino debole, ma nel suo essere profondamente anti eroico Mister Carlo segue l’idea greca per cui la natura non va forzata ma persuasa, anche e soprattutto sul campo di gioco.

Ancelotti viene da lontano. Viene dalla provincia, certo, ed è oggi uno spirito ellenistico, cittadino del mondo. Ma viene anche da grandi maestri, da entità messianiche. Le religioni le ha conosciute e praticate tutte. Nils Liedholm, Arrigo Sacchi. Oggi quest’ultimo, sui giornali, ancora suona ieratico come un sacerdote, come ogni uomo integralista. Ancelotti non lo sarà mai. Manipola sogni, non utopie. Il calcio, la sua natura, non vuole forzarlo ad un’idea ma persuaderlo “soddisfacendo i desideri necessari”. Per vincere bisogna soprattutto riordinare i desideri, sembra dirci. Alcuni di essi sono infatti tossici e serve un sopracciglio allenato a sparigliarli.

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