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La vittoria della Francia “all’italiana”: come banalizzare il gioco del calcio

La Francia non è solo “difesa e contropiede”, ma è anche tanto altro: parlare di gioco “all’italiana” vuol dire distorcere la realtà.

La vittoria della Francia “all’italiana”: come banalizzare il gioco del calcio

Che cos’è l’italianismo

Il giorno dopo la vittoria della Francia ai Mondiali, ci svegliamo con Deschamps «come Lippi e Bearzot», per cui «l’italianismo nel dna è uno dei motivi del successo». La Gazzetta ci fa la prima pagina, scrive “France all’italianne” e descrive così il modello di gioco dei Blues: «Più che il modello-champagne, la Francia ha esibito un efficace modello-Lambrusco. Tanta difesa e tanto contropiede, ha rinunciato al possesso e innescato le sue frecce».

Ecco, questa è pura distorsione della realtà. Perché parlare della Francia come una squadra che gioca all’italiana vuol dire banalizzare entrambi i riferimenti: il gioco all’italiana e il gioco della Francia. Certo, ci sono degli elementi in comune: l’attenzione difensiva, le linee compatte, l’idea del contropiede. La differenza di forme e contenuti, però, è altrettanto ampia: la squadra di Deschamps è un’interprete (la migliore interprete vista al Mondiale, insieme al Belgio) della nuova frontiera del gioco verticale, per cui l’evoluzione moderna del contropiede (o meglio: transizione) è la soluzione offensiva principale. 

Una cosa diversa dall’italianismo, o meglio dal concetto di italianismo con cui siamo cresciuti. Un approccio per cui lo studio dei punti deboli degli avversari era il riferimento per distruggere il loro gioco (la marcatura a uomo sugli elementi di maggiore fantasia, i tornanti, la presenza fissa di un attaccante in area di rigore, fisico e/o rapace, non coinvolto nel gioco della squadra) e per compensare il gap fisico. Ecco, il gioco della Francia parte da presupposti esattamente contrari: l’attesa difensiva non è di tipo puramente contenitivo, ma serve a creare le condizioni perché i migliori elementi della squadra (Griezmann e Mbappé su tutti) possano esprimere al meglio le proprie doti atletiche. Ovvero: la corsa in campo aperto, le situazioni di parità/superiorità numerica nei confronti degli avversari.

Il mito del possesso

Nel calcio moderno, il dato del possesso palla è il riferimento principale per definire “bello” o “non bello” il gioco di una squadra. Al di là del gusto estetico di ogni analista o appassionato, le esperienze tattiche degli ultimi anni ci spiegano che non è più così. Che ci sono altre strade per produrre risultati, ma anche per fare spettacolo. Si pensi al gioco del Borussia Dortmund di Klopp, un’altra squadra estremamente verticale (molto più della Francia, per dire, eppure non era italianista).

Ecco, la Francia appartiene (in parte) a questo secondo gruppo. Non è una squadra spettacolare secondo l’accezione comune, non opera un pressing a tutto campo (come il Borussia), ma lascia il possesso alla squadra avversaria facendo spettacolo in un altro modo. Per meno tempo, in poche occasioni, forse. Ma il gol realizzato da Pogba, ieri, è puro spettacolo. Di transizione, ma è puro spettacolo. E nasce dall’impostazione di Deschamps, che non ha fatto altro che interpretare i segnali arrivati dal suo organico.

Definizione di transizione, secondo Paul Pogba

Per il ct della Francia i giocatori determinano il modello, non viceversa, quindi se Pogba può essere utilizzato come hub di centrocampo per aprire velocemente il gioco per Mbappé, non ha senso avere un mediano che operi da regista. Meglio un incursore disciplinato come Matuidi e un moto perpetuo come Kanté. Meglio un centravanti che fa salire la squadra e fa zero (!) tiri in porta in tutto il Mondiale, Giroud, piuttosto che un attaccante diverso. Infine, meglio due terzini più classici, attenti a fare densità difensiva e poi a sovrapporsi, piuttosto che due laterali che supportano di default l’azione offensiva. Tutte reazioni a catena che si discostano dal puro modello italianista, reattivo per definizione rispetto agli avversari. Quello dell’Italia di Bearzot, ma non dell’Italia di Lippi – per dire delle differenze interne a questa nostra stessa narrativa.

Il nuovo corso

La Francia gioca un calcio diverso rispetto a quello della Germania e della Spagna. Forse meno moderno, meno sistemico secondo la definizione per cui ogni azione fa riferimento agli stessi meccanismi. Ma è una squadra che ha principi aderenti al nostro tempo, alle caratteristiche dei suoi calciatori. Che, a sua volta, sono diverse dagli elementi che da sempre caratterizzano il nostro approccio al gioco.

Domanda banalizzante, per far capire la banalizzazione: se la Juventus gioca all’italiana, come leggiamo di solito, la Francia gioca come la Juventus? No, appunto. Non c’è corrispondenza, se non per l’atteggiamento difensivo in alcuni frangenti della partita. Perché i calciatori sono diversi, esattamente come tra questo modello francese e il modello italiano classicamente inteso. Il problema non è giudicare/analizzare il gioco della Francia, quanto piuttosto inserirlo in compartimenti stagni di tipo binario, per cui una squadra che non fa possesso palla è una squadra che gioca catenaccio e contropiede. Ecco, quella è un’altra cosa. Che non appartiene alla Francia, non appartiene alla Juventus. Che non apparteneva all’Italia di Lippi, e che era solo una parte del gioco di Bearzot. Solo che a noi piace raccontarla in maniera diversa, evidentemente.

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