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Per Sacchi fare pressing a Napoli è più difficile. «A Milano e a Torino in città vanno di fretta»

Nell’intervista a Repubblica, l’Arrigo ne fa una questione antropologica se non genetica. Siamo certi che non fosse questo il suo intento, sarebbe davvero triste

Per Sacchi fare pressing a Napoli è più difficile. «A Milano e a Torino in città vanno di fretta»

L’elogio di Sarri

Arrigo Sacchi non aveva ancora commentato l’avvicendamento tecnico alla guida del Napoli. È andato via Sarri, pupillo del vate di Fusignano, ed è arrivato Ancelotti altro discepolo che però nel corso del tempo ha abbandonato il dogmatismo per sposare la duttilità. Ricordiamo che Ancelotti fu secondo di Sacchi nella Nazionale che arrivò in finale ai Mondiali del 94.

Sacchi, nella sua intervista a Repubblica, si schiera decisamente dalla parte di Sarri. E non ci sorprende. Definisce il Napoli di Sarri «la cosa più importante vista in Italia da vent’anni. Aveva giocatori quasi sconosciuti, un fatturato minimo rispetto alla Juventus che gli ha preso pure l’uomo più forte, ma ha ricordato a tutti che la bellezza è un valore, non solo un sogno. Aggiunge che in Italia, a parte il Napoli, siamo tornati nelle caverne, ancora fermi al “primo, non prenderle».

C’è però un passaggio su cui vale la pena di soffermarsi. Sacchi dice che

Sarri è riuscito nell’impresa più difficile: allenare il pressing. Perché, vedete, il pressing i torinesi e i milanesi ce l’hanno nel Dna, la gente in città va di fretta, ma a Napoli non è così: dunque, certe imprese anche culturali valgono il doppio. Ma temo che senza Sarri tutto questo finirà, non me ne voglia il caro amico Ancelotti.

Sorprende la motivazione antropologico-culturale

L’ultima parte è chiara, Ancelotti non sarà in grado di riprodurre il gioco del tecnico toscano. E fin qui, non c’è nulla di sorprendente. A sorprendere è la motivazione antropologico-culturale che sembra emergere dalla prima parte delle frasi di Sacchi. L’Arrigo non si sofferma sul calcio scintillante proposto dal Napoli di Sarri, si sofferma sulla difficoltà di far apprendere il pressing a Napoli. Ne fa una questione genetica. A Torino e a Milano il pressing ce l’hanno nel dna, «la gente in città va di fretta», aggiunge. A Napoli no. Ne fa un’impresa culturale, lo dice proprio.

Qualche attenuante

È un discorso che quindi esula dal campo di calcio, almeno così sembra di capire. Vogliamo concedere un’attenuante a Sacchi, vogliamo credere che si riferisse al tipo di calcio che lui storicamente associa al Napoli. Soprattutto al Napoli di Maradona. Sacchi ha sempre considerato quel Napoli antitetico alla sua idea di calcio. Il collettivo – il suo Milan – contro le individualità. Lui non ha mai avuto dubbi su chi potesse vincere. Anni fa parlò di assenza di mentalidad ganadora a Napoli, e noi condividemmo.

Sacchi dimentica che il pressing al Napoli lo portò anche un brasiliano, Vinicio, negli anni Settanta: una delle prime squadre in Italia a giocare all’olandese.

Sarebbe triste dover prenderne atto

Se invece il riferimento di Sacchi non fosse calcistico bensì genetico, ne saremmo certamente rattristati. Non soltanto per noi, ma soprattuto per lui. A Sarri vanno riconosciuti tanti meriti, è giusto che lui lo sottolinei, ma quelli relativi al miglioramento della razza non piacerebbero nemmeno all’allenatore toscano. Verrebbe da dire, in tono sarcastico, che Sarri ci è riuscito perché in fondo di napoletani in squadra ne ha avuto solo uno: Lorenzo Insigne.

Vogliamo troppo bene a Sacchi, siamo certi che si sia trattato di una incomprensione con l’intervistatore Maurizio Crosetti che fu protagonista di un editoriale di rivendicazione dell’orgoglio Savoia al termine del campionato. Altrimenti dovremmo tristemente prendere atto del declino umano dell’Arrigo.

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