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Il Mondiale sta mostrando un utilizzo diverso del Var: meno review, tolleranza più alta

Una nuova interpretazione del protocollo Var: meno interruzioni, meno On Field Review e un gioco meno spezzettato. Questa è la direzione indicata dalla Fifa.

Il primo giro di partite

La certificazione definitiva è arrivata ieri sera, durante Brasile-Svizzera. Il gol del pareggio della nazionale di Petkovic, siglato da Zuber su azione d’angolo, è stato viziato da una spintarella su Miranda. Non sfugga il vezzeggiativo, che in questo fa tuta la differenza possibile. Sì, perché parliamo di un tocco minimo, “di mestiere”, non di un fallo. Le proteste dei brasiliani sono state minime, non eccessive, l’arbitro le ha subito calmierate, depotenziate. Perché il tocco c’è, ma non c’è fallo. Ed è Miranda che sbaglia completamente tempo e posizionamento della marcatura. Silent check, nessun errore grave, gol convalidato. Tutto giusto, tutto perfetto.

La tendenza per l’utilizzo del Var, in questo primo giro di partite, è stata proprio quella portata avanti ieri sera dal direttore di gara Ramos e dalla sala-Var, in cui trovava posto anche l’italiano Valeri. Ovvero: strumento chiamato in causa poche volte in maniera diretta, e solo per episodi davvero spinosi, o comunque non decifrabili facilmente dal campo. Come nel caso del rigore fischiato durante Francia-Australia, fallo di Risdom su Griezmann, il primo penalty della storia della Coppa del Mondo assegnato dopo una On Field Review. Ecco, in quel caso l’arbitro ha utilizzato il “suo” replay per schiarirsi i dubbi. E ha preso la decisione più giusta.

È un modo di operare che è stato rispettato più o meno in tutte le partite. Anche in un altro caso spinoso, il gol di Diego Costa in Spagna-Portogallo, la gestione è stata similare: situazione dubbia, probabile silent check e rete convalidata. Certo, magari l’azione del centravanti spagnolo è un po’ più al limite del regolamento, forse in Italia sarebbe stato fischiato fallo. Senza parlare delle polemiche che sarebbero sorte ex-post. Tutto, però, è consequenziale: utilizzo minimo del Var, aumento automatico della soglia di tolleranza per la ricognizione dei falli. 

Legittimazione

L’idea alla base del Var è quella di offrire all’arbitro uno strumento per legittimare ogni sua decisione. Non per evitare errori di valutazione, o quantomeno per minimizzare i rischi di errori grossolani. Lo ha spiegato anche Luca Marelli, ex arbitro, nel suo blog: «Fin quando non si riuscirà a capire la fondamentale differenza tra Var e moviola, ci saranno sempre polemiche (inutili). E l’anno prossimo potrebbero essere anche più “feroci” se teniamo in debita considerazione che l’ambito di applicazione sarà destinato ad essere ancor più limitato: il Var non sarà più applicabile per episodi connotati da un “chiaro errore” ma da un “chiaro ED EVIDENTE errore“, in linea col protocollo già utilizzato in Russia».

In pratica, i Mondiali dettano una linea diversa rispetto all’interpretazione del mezzo tecnologico che abbiamo adottato e sviluppato in Italia. Il giudizio su questa tendenza all’utilizzo circoscritto del Var è ovviamente soggettivo (Marelli, per esempio, non è del tutto d’accordo), ma l’importante è avere un riferimento lineare, universalmente comprensibile, trasversale. Come sta accadendo in Russia, in questa edizione della Coppa del Mondo. Che, finora, è stata priva di grosse polemiche arbitrali. Anche grazie alla tecnologia, basta riavvolgere il nastro di Francia-Australia, una partita indirizzata verso il risultato più “giusto” dal Var e dalla Goal Line Technology. Il calcio del 2018, per fortuna, è fatto anche di questa roba qui.

 

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