ilNapolista

Valencia-Levante, “El derbi del gol anulado”: tutto il mondo è paese

Il racconto della stracittadina di Valencia vissuta dal vivo: una confezione migliore rispetto alla Serie A, un gioco non troppo distante e la sensazione che il calcio senza il Var sia la preistoria.

Valencia-Levante, “El derbi del gol anulado”: tutto il mondo è paese

Il Derbi

Sono stato a Valencia una settimana, per lavoro. Ho visto Leo Messi, dal vivo. Una bella esperienza, anche se lui non ha giocato benissimo (per chi avesse voglia di leggerne, ne ho parlato su Rivista Undici). E poi, ieri sera, mi sono goduto il Derbi Valenciano tra Valencia e Levante. Sì, esatto. Goduto.

Goduto perché c’era un’atmosfera diversa, meno carica, rispetto ai derby per come li intendiamo noi. Certo, i rapporti di forza sono come se Napoli e Avellino appartenessero alla stessa città: un club riconoscibile nel mondo, con un palmarés nazionale e internazionale lontano da quello di Real Madrid e Barcellona, ma comunque importante; di contro, una società con nove stagioni in Liga in 110 anni di storia.

La rivalità non è molto percettibile, di certo è vissuta in maniera più civile rispetto ad alcune piazze italiane. Fuori dal Mestalla, ieri sera, i tifosi della squadra di casa erano mischiati con quelli degli ospiti. Niente incidenti, anzi c’era addirittura meno gente rispetto alla semifinale di Copa del Rey, contro il Barcellona. Si fa presto a capire che i tifosi valencianisti individuano avversari più blasonati, rispetto al Levante. Non è solo una questione di evento: se la Juventus avesse disputato una semifinale di Coppa Italia in questa settimana, avrebbe avuto comunque lo Stadium pieno per un eventuale derby casalingo contro il Torino. L’impianto del Vfc, gremito contro Messi e compagni, non era tutto esaurito ieri sera.

La partita

Dal punto di vista del gioco, non c’è la grande differenza che in Italia ci piace raccontare. Il Valencia, terzo in classifica dopo il successo di ieri sera (ma probabilmente quarto o quinto a fine anno, perché il Real Madrid è al momento sotto i Taronges), non è molto più forte di Inter, Lazio, Roma. Anzi, ha calciatori di qualità inferiore, basti pensare che Kondogbia è titolare inamovibile – e gioca pure in maniera discreta – nel 4-4-2 di Marcelino. Il sistema tattico dell’ex allenatore del Villarreal è basico, verticale, non ho visto un gran calcio. Paradossalmente, il Levante tenta di orchestrare un gioco più ragionato, meno casuale e frenetico. Solo che il centravanti titolare è Giampaolo Pazzini. Ed è anche, più o meno, la stella della squadra. Magari Pecchia avrà anche sbagliato con lui, ma intanto Pazzini è reduce da mezzo campionato in panchina col Verona. Come dire: niente di eccezionale.

Certo, la confezione dell’evento è molto diversa. Il pubblico sostiene la squadra di casa e non insulta la squadra avversaria, non conosco lo spagnolo ma non ho avuto questa percezione. Ho visto il derby di Milano a San Siro, e dal punto di vista della piacevolezza estetica dell’intero contesto siamo lì. Solo che Inter e Milan sono club d’élite, mentre il Valencia aspira ad esserlo. Nel senso: c’è un’attenzione molto poco italiana al dettaglio, per esempio c’è la kiss cam di ispirazione americana. Il pubblico rispetta il proprio posto a sedere, cinque minuti prima del fischio d’inizio lo stadio non è ancora pieno. Non c’è il problema di dover arrivare prima, ma questo è un problema soprattutto del San Paolo.

Polemiche

Le differenze, ok. Ma ci sono anche grandi analogie. Basta aprire la pagina di As con il commento della partita. Il titolo dice tutto: “El derbi del gol anulado”. Sotto c’è la sintesi, ma ve lo racconto velocemente: nella ripresa, sul risultato di 1-1, gol annullato al Levante. Per una motivazione inspiegabile e non spiegata. Azione successiva, 2-1 per il Valencia. Nel finale, calcio di rigore molto generoso (eufemismo) concesso ancora al Valencia. Un dramma arbitrale.

Ebbene, noi italiani siamo davvero bravi a darci le martellate sulle dita da soli. “Solo in Italia c’è la cultura del sospetto, dell’accusa arbitrale”. As vi dimostra che non è così. E ve lo dico anch’io, ero presente in sala stampa nel postpartita e ho assistito alla conferenza dei due tecnici Muniz e Marcelino. Al primo, tecnico del Levante, hanno posto solo domande riguardanti l’arbitro. Solo quelle, non si è parlato di campo. Al secondo, più della metà delle domande riguardavano le decisioni del signor David Medié Jiménez, fischietto catalano.

Il Var e le somiglianze

Mi restano due cose, di questa esperienza. Intanto, una consapevolezza acquisita e sempre più inscalfibile sulla necessità del Var. Mi spiego meglio: ieri sera, dal campo, non ho avuto modo di accedere al replay immediato degli episodi. Quindi, giudico in base alla mia posizione in tribuna, ero lontano, e le due decisioni controverse mi sembravano assurde.

Il fatto che l’arbitro non possa avere una legittimazione rispetto alle sue decisioni, come avviene in Italia, è ormai anacronistico. Della serie: dopo aver assaggiato il Var, il calcio senza Var mi sembra preistoria. È preistoria. Perché l’arbitro non può schiarire i suoi dubbi, deve decidere in maniera immediata, è andata così fin dall’inizio dei tempi ma ora è anacronistico. Lo stanno dimostrando i fatti, in Italia. Gli errori sono diminuiti, ma non è questo il punto: ora gli arbitri hanno uno strumento per poter esercitare meglio il proprio lavoro. Semplice, chiaro, pulito. Magari il signor Medié Jiménez non avrebbe cambiato la sua decisione, magari avrebbe sbagliato due volte. O magari no. Così non lo sapremo mai.

La seconda cosa che viene fuori da questo viaggio è la consapevolezza rispetto al “tutto il mondo è paese”. Il calcio è uguale dappertutto, dalla Liga (o quantomeno da Valencia) abbiamo da imparare molto quanto a convivenza all’interno di uno stadio, quanto a organizzazione dell’evento. Ma il gioco e i commenti post non cambiano. Così come non cambiano in Inghilterra, in Spagna, in Germania. Il calcio è questo, non c’è alcuna differenza se non nella forza delle squadre e dei calciatori. Che non è nemmeno così ampia come ci piace scrivere, dire, rappresentare. La presenza del Var è simbolica rispetto a questa nostra sensazione di arretratezza. A volte è vera, ma a volte proprio no. Partire da questa convinzione, piuttosto che dal “fa tutto schifo” non sarebbe male. Del resto, l’ultimo presidente di Federcalcio europea arrestato è uno spagnolo.

ilnapolista © riproduzione riservata