È il film ambientato a Napoli che ha incassato di più nell’ultimo anno. Il mercato forse è saturo di cinema gomorroso, come aveva scritto Francesco Durante
Le notizie sono tre
Le notizie sono tre, strettamente correlate. La prima è che fin qui “Napoli velata” di Ozpetek ha incassato 4,2 milioni di euro (dati di mymovies), ha quasi superato “The Place” di Paolo Genovese, triplicato gli incassi di “Rosso Istanbul” la penultima opera di Ozpetek” ed è ampiamente nella top ten dei film italiani tra il 2017 e il 2018.
La seconda è che per distacco – alla Fausto Coppi ancor più che alla Merckx – “Napoli velata” è il film ambientato a Napoli che ha incassato di più nell’ultimo anno. Lontano in classifica c’è “Ammore e malavita” dei Manetti a 1,4 milioni. Sotto il milione i The Jackal e altri che pure hanno riscontrato grande successo di critica. Dalla classifica abbiamo escluso “Mister felicità” di Alessandro Siani che ha incassato dieci milioni ed è il secondo film italiano più visto dopo “L’ora legale” di Ficarra e Picone.
Francesco Durante
La terza notizia è che aveva ragione Francesco Durante. E poco importa che lo scrivemmo già quattro mesi fa, all’indomani del discusso articolo che scrisse per Il Mattino in concomitanza con il festival del cinema di Venezia. Durante, che non definiamo intellettuale sennò lui magari si incazza visto l’affollamento dei rappresentanti della categoria, scrisse quel che a noi sembrò di una semplicità disarmante. E cioè che il cinema napoletano era (ed è) rimasto fermo a Gomorra. A Venezia furono proiettati sei film che raccontavano Napoli, tutti ambientati tra gomorrismo (anche in versione parodia) e Terra dei fuochi. Durante concluse con una chicca: “Il nostro diligente, levigato, provinciale Truman Show”.
In Campania insomma una specie di iperrealismo socialista è diventato il nuovo verbo artistico. Se non parli di Terra dei Fuochi e/o di camorra sei insopportabilmente lieve, insipido, sfuggente. Se non contamini alto e basso, società civile e società malavitosa, stai mettendo la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Se per caso i neomelodici non ti piacciono, vuol dire che sei un inguaribile snob. Se l’Occidente, e non il Parco Verde di Caivano, è il tuo orizzonte di riferimento, stai solo fuggendo dalla Realtà. La “Realtà”! Eccolo il feticcio terribilissimo, il Moloch cui sacrificare ogni nostra energia intellettuale. Ma ormai la Realtà la stiamo costruendo noi, e ne stiamo facendo un luogo comune, carico di tutte le ambiguità del caso. Il nostro diligente, levigato, provinciale Truman Show.
Il mercato
Ovviamente l’articolo suscitò reazioni quasi tutte contrarie. Ed è interessante notare come in tanti articoli di risposta a Francesco Durante tornava in maniera più o meno velata l’argomento mercato. Per la serie “è questo che il pubblico vuole”. Ed è qui che “Napoli velata” segna un passaggio dirompente nel racconto che fa di sé il cinema napoletano. Il film di Ozpetek – che piaccia o meno, importa zero: a noi il film in sé non è piaciuto – ha incassato al botteghino più di quattro milioni euro. In dieci giorni.
Effetto saturazione
È doveroso scrivere che noi abbiamo guardato tutte e tre le serie di Gomorra (la terza non ci è piaciuta), e che non pensiamo minimamente che una serie tv incida sulla criminalità a Napoli. Però siamo fermamente convinti, come Durante, che la rappresentazione della città sia stata monocorde nell’ultimo decennio. Ha probabilmente ragione Jim Catanzaro a scrivere che Napoli resisterà a qualsiasi modo e forma di rappresentazione. Forse è il caso di riequilibrare il racconto tra gomorrismo e cartolina. Magari è l’occasione per cercare anche altre direzioni, visto che Napoli è una città composita pur essendo una città di eccessi. Alla lunga Gomorra ha provocato un effetto di saturazione. C’è desiderio di guardare altro. E non solo perché a Napoli come accade altro, com’è ovvio che sia nella terza città d’Italia.
Ozpetek, non a caso un napoletano, ha mostrato che Napoli può essere raccontata anche in un altro modo. E che questa diversità dal punto di vista economico paga. Non è affatto poco, visto che il cinema resta pur sempre un’industria.