Dopo la Champions, un’altra notte che conferma una certa gestione delle priorità per il Napoli e per Sarri: tutto legittimo, ma i conti si fanno alla fine.
Due indizi fanno una prova
La Champions, ieri sera la Coppa Italia. Secondo Agatha Christie, servivano tre indizi a fare una prova. Il Napoli avrebbe l’opportunità di chiudere la collezione con l’Europa League, ma c’è ancora tempo prima di incontrare il Lipsia. Ci facciamo bastare l’Europa autunnale e il match contro Gasperini e la sua banda alla kryptonite per emettere una sentenza che si percepiva già da un po’ nell’ambiente-Napoli. Questa è una stagione da priorità unica, cioè con un’unica priorità: il campionato, la corsa al titolo.
Al di là di battute e suggestioni letterarie, l’eredità tecnica ed emotiva di Napoli-Atalanta è chiara. Sarri l’ha fatto intendere nel postpartita, ma in realtà le sue parole sono solo una conferma. Il Napoli, inconsciamente, ha deciso di spostare tutti i suoi investimenti sulla borsa dello scudetto.
La legittimità di una scelta
Certo, il contesto non ha aiutato. Se al posto dell’Atalanta, una squadra che sembra costruita appositamente per fermare e battere il Napoli, ci fosse stato un altro avversario, il Napoli avrebbe potuto portare a casa un risultato diverso. Il nostro discorso di fondo sarebbe cambiato, avremmo solo parlato di turn over riuscito e/o indovinato. In realtà, l’idea di approccio iniziale non sarebbe stata molto diversa. E non lo diciamo noi, ce l’ha detto Sarri nel postpartita: «Abbiamo pensato di dare ad Hamsik, Mertens, Insigne e Callejon un minutaggio pari sui 120′ potenziali». Ovvero, il Napoli dei titolarissimi che viene preservato per il Verona.
Evidentemente, questa è una strategia condivisa da tutte le componenti del club. Ci spieghiamo: se Sarri, chiarisce che le alternative del Napoli renderebbero meglio se inserite in dosi meno intensive (uno o due giocatori cambiati per match), e poi ne mette cinque per la Coppa Italia, la connessione logica ci sembra facile, palese, lapalissiana. Ovvero: la Coppa Italia non ha la stessa importanza del campionato.
Bene. Noi, in questo pezzo, non vogliamo dare giudizi di merito rispetto a questa scelta. Per noi è legittima. A patto che poi si comprenda il senso di responsabilità rispetto a ciò che si è scelto di lasciare dietro.
Showdown
Nel poker, il momento in cui i giocatori mostrano il punto si chiama showdown. Letteralmente, mostrarle giù – si intende le carte, ovviamente. Arriva solo alla fine, dopo tutte le puntate e i rilanci e le coperture degli altri giocatori al tavolo.
Ecco, quello sarà il momento decisivo per il Napoli di Sarri edizione 2017/2018. Noi non parliamo di “scudetto necessario”, per quello c’è una Juventus più attrezzata (sul lungo) da dover superare. Non pensiamo che il Napoli abbia o avesse avuto la forza di arrivare fino in fondo (intendiamo per vincere) a tutte le competizioni, ma facciamo nostre le parole dello stesso tecnico azzurro: «Nelle coppe avremmo potuto fare di più».
Detto questo, aspettiamo lo showdown. A quel punto, il Napoli dovrà aver dimostrato oculatezza nella scelta. Presentarsi all’ultima mano facendo all-in sul piatto grosso, sul piatto più grosso, può essere una strategia molto rischiosa. Specie se si è deciso di giocare meno – o quasi niente – nelle partite precedenti. Perché si può vincere, certo. Ma può anche andare male. E a quel punto i rimpianti possono tendere verso l’alto. Ecco, noi ci limitiamo a questo “avvertimento”. Se utilizziamo questo termine lo facciamo non tanto per ragguagliare il Napoli sulla dimensione della sua scelta e sul taglio dato alla stagione, quanto per ricordare – a noi e a tutti – i meccanismi emotivi del gioco su più fronti, le possibili implicazioni derivanti e derivate dalla strada che si è deciso di intraprendere.
Per il resto, ognuno può trarre le sue conclusioni e avere le sue opinioni in merito alla questione e alla gestione delle priorità. Un discorso che poteva essere definito vivo ma latente fino a ieri sera. Ma che ora è limpido, chiaro, palese.