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Il Guardian e la lingua del calcio italiano: le differenze nel racconto del gioco

Il nostro modo di raccontare il calcio è molto lontano rispetto agli altri paesi europei: questioni di neologismi, di suggestioni linguistiche che possono contribuire ad accentuare una certa distanza dal resto del mondo.

Il Guardian e la lingua del calcio italiano: le differenze nel racconto del gioco
Photo Carlo Hermann

Un’analisi del lessico

Un articolo bello, diverso, che descrive le dinamiche linguistiche italiane intorno al calcio. Il Guardian dedica un pezzo alla nostra cultura, e parte da una differenza semplice ma sostanziale. Il football e i suoi derivati in tutto il mondo (il tedesco fußball, lo spagnolo fútbol e così via), mentre in Italia c’è una definizione unica, differente. Calcio, appunto. 

L’autore ne fa anche una questione di approccio allo sport: «Una partita di calcio, in Italia, va molto oltre quello che succede altrove. Spesso il campionato di Serie A viene criticato per il fatto che i calciatori simulano, falli subiti o infortuni, protestano contro l’arbitro e perdono tempo se sono in vantaggio. Si tratta di situazioni reiterate, ma necessarie: in Italia non si va in campo solo per vincere la partita, ma anche per conquistare il pubblico».

A questo punto, ecco alcuni esempi di grandi differenze lessicali: «In Italia il calciatore interpreta un ruolo, non occupa una posizione. Il playmaker si chiama regista; uno scambio ripetuto in possesso palla si chiama fraseggio; tra due o più calciatori c’è un dialogo, in campo, mentre giocano».

Oltre a questa serie di “casi particolari”, c’è il giudizio finale. Che è incerto, sospeso, tendente al negativo: «Probabilmente questa distanza linguistica è un problema e causa un problema, almeno per quanto mi riguarda ma non solo. Gli americani, per esempio, preferiscono la Premier League per la vicinanza lessicale. E anche i tifosi del resto d’Europa e del mondo, forse, percepiscono meno attrazione verso la Serie A per questa lontananza. Che si tratti di incomprensioni o no, questi neologismi non fanno che aumentare il fascino e l’idiosincrasia rispetto al lessico unico e inimitabile del calcio italiano».

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