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Dove sei finita, Napoli? O, forse, sei mai esistita oltre i nostri sogni?

Da Savigny fino a Iannicelli, Sarri e il soffritto mancato dell’Unesco. È la storia di una perdita: la polemica, la dialettica e persino il loro fastidio.

Dove sei finita, Napoli? O, forse, sei mai esistita oltre i nostri sogni?
Sarri a Roma contro la Lazio (Ciambelli)

La polemica e il calcio

A metà dell’ottocento Savigny, il giurista tedesco in viaggio di studio dalle nostre parti duosiciliane, ci definì Stadt der Advocaten, Napoli la città degli avvocati, adoperando un epiteto non esattamente di favore. Poca formazione accademica nonostante l’enorme tradizione di studi profondissimi ed una marea di attori parlanti, di commedianti di piccolo cabotaggio divisi per bande. Suona imbarazzante ma non pare ce ne siamo troppo distanziati nei secoli. Dov’è finito il gusto sottile della polemica, della sintesi delle posizioni contrastanti, la sensualità retorica della ricerca dell’anello che non tiene nel ragionamento dell’avversario, l’incursione nel campo nemico per il confronto e l’apprendimento, la forza di quel calderone che siamo sempre stati?

Anche nel calcio, che è uno dei pochi cuori pulsanti rimasti in città, è difficile confrontarsi senza parlare dei soliti carri su cui bisogna scendere e salire per il timore di perdere credibilità, di nascondere la necessità di rivedere le proprie posizioni come fosse un crimine. Siamo tutti attenti a mantenere la solidità dei nostri ragionamenti nel tempo, come se ci potessero salvare dalla tomba. Siamo tutti in barriera a coprirci le pudenda.

Hitchens

Christofer Hitchens, uno degli ultimi della grande scuola dei polemisti del mondo, nel solco di quella stupenda malia della tradizione anglosassone, scrisse nel suo Lettere a un giovane ribelle (titolo mal tradotto, perché ribelle nell’originale è un più cosmico “contrarian”) che ogni giorno leggeva l’antico, pomposo, brillante, compiaciuto e idiotissimo motto del New York Times – “Tutte le notizie che val la pena stampare” – per cercare di percepire se ancora riuscisse a irritarlo.

E se gli permetteva di riattivare quotidianamente lo storzellamento della sua nervatura, allora capiva di essere ancora vivo, nonostante tutto. Si sentiva al mondo per quel fastidio. Lo ha fatto ogni giorno. Fino al suo ultimo, stroncato da un male che non è riuscito a fermarne mai, neppure per un secondo, la sua vita da contrarian.

Il soffritto degli expat

Io sono ben più al di sotto di Hitchens e in assai minori faccende affaccendato, ed ogni mattina mi sveglio controllando le ultime parole di Sarri. Ognuno ha le sue manie. Le sopporto sempre meno, mi suonano quasi sempre in una chiave che mi disturba. Ma, analogamente ad Hitchens che continuava a comprare il NYT per leggerlo e contarsi le pulsazioni, io comprerò i miei biglietti da povero expat (come si dice oggi) per vedere il nostro stadio a Natale, per gridare, per sostenere il Napoli. Avendo le parole che mi risultano incongruenti, seccanti, fasulle del nostro allenatore nelle orecchie, poiché anche da quelle parole può nascere una vittoria che io desidero per tutti noi – terra di avvocati persi nelle proprie cause inutili e fondamentali come il gioco del pallone.

Come ha scritto qualche giorno fa su questo giornale Mario Colella, è il soffritto la vera anima culturale oltreché culinaria di Napoli, della nostra terra, il suo miscuglio, il suo crogiuolo misterioso, e sfido l’Unesco a sancire il soffritto più che la pizza quale vero, tangibile, universale e concretissimo patrimonio dell’umanità, se ne ha il coraggio.

La storia di Iannicelli

Svegliati, Napoli. Hai assistito quiescente allo zittire categorico di un tuo avvocato giornalista, Peppe Iannicelli (col quale quasi mai sono stato d’accordo) in una conferenza stampa a margine della partita col Feyenoord. Un niet pronunciato da Sarri per fermare domande considerate idiote – ma è ancora possibile fare domande senza suscitare la collera di nessuno? Noi non vogliamo conoscere la strana vita spirituale di Madre Teresa, come nel caso di Hitchens, o descrivere la vita dei giuristi, come Savigny. Noi ci accontenteremmo di sapere se perdere quattro partite su sei in Champions sia una sconfitta o una vittoria. Si può? È lecito? Ci può pungere vaghezza di sapere se Giaccherini ha pochi mesi di vita, come immagina il Trapani su queste pagine, o è in forze? Possiamo farlo senza perdere l’accesso alle sacre gradinate del San Paolo?

Noi ci accontentiamo di poco. Anche perché, tutto sommato, ci piace domandare e domandarci ma poi ci interessa solo il ruoto della parmigiana ed un gragnano diviso in compagnia. In questo – forse solo in questo, ma non è poco – siamo amici, sebbene con lui non d’accordo, di Iannicelli.

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