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Ventura e Tavecchio: non interessa la verità, interessa la gogna

La caccia al colpevole non ammette distrazioni in una informazione sempre più ienizzata. Vale per tutto, anche per l’Italia del calcio

Ventura e Tavecchio: non interessa la verità, interessa la gogna
Ventura e Tavecchio

Le sconfitte non si possono spiegare con una sola verità

“Le sconfitte, soprattutto quelle più dolorose, non si possono spiegare con una sola verità”. Non è il finale di un brano di Rudyard Kipling, è solo Gian Piero Ventura, il prescelto nella veste del tonto di un paese che ancora non ha ben chiaro cosa voglia fare da grande: se nutrire una profonda passione per la verità ed il suo disvelamento o continuare a spiare dal buco della serratura i vizi e i segreti dei singoli da trascinare in festa alla gogna. Il discorso delle sacre responsabilità che l’Italia pretende di affibbiare ai suoi cittadini e sportivi, infatti, fa acqua un po’ ovunque. Dov’era la responsabilità dei nostri migliori allenatori quando nessuno di loro, con un briciolo di comprensibile calcolo, ha deciso di rischiare una carriera prevedendo una ancor più ragionevole disfatta? Qualcuno un giorno ci dirà.

L’informazione ienizzata

Ventura, che la sua matematica l’ha applicata non senza qualche volgare barcollamento, s’è seduto a chiedere, al realistico termine della sua carriera, il dovuto. Ma cosa è il dovuto, oggi, in Italia? Esiste? Non conta un contratto né la sua negoziazione. Non contano i piani, i rischi presi, i tentativi e gli insuccessi che possono giungere. Non contano la preparazione e gli errori che ne verranno.

Il dovuto è figlio anch’esso del ventre della piazza mosso da una informazione totalmente ienizzata, nella quale un giornalista va ad Ostia credendo di fare un’indagine interessante quando chiede ad un arcinoto violento del luogo di poter mettere agli atti di una telecamera quanto egli ha già scritto su un social, ricevendone una vile testata sul naso; o nella quale Tavecchio può fare il suo lavoro e trovare finalmente una spalla su cui piangere in tva proposito, Tavecchio, oltre ad essere stato eletto, a dispetto del suo pensiero razzista, anche dal nostro De Laurentiis (che lo ha prontamente scaricato un attimo dopo la sconfitta) è anche il padre del Var, lo strumento salutato da mezza Italia come il nuovo che avanza e che ci ha fatto vincere una partita fondamentale, sabato, contro il Milan. Come la mettiamo, se anche il sangue degli incapaci contribuisce a condurci alla vittoria?

Sacchi e Insigne

La verità, questa sopravvalutatissima signora, ha un suo costo. Come il contratto di Ventura. Ma ci interessa? Siamo curiosi di conoscerne i vincoli e i legacci? Di scoprirci, tutto sommato, se non correi, quanto meno coinvolti – noi che abbiamo un italiano e mezzo tra gli undici titolari, e che se De Laurentiis avesse investito i novanta milioni di Higuain per costruire campi e strutture per aiutare i ggiovani (con due ‘g’) avremmo assistito alla rivoluzione per le strade? Capita anche che la verità sia una cambiale firmata con una assenza. Arrigo Sacchi, parlando di Insigne e della sua mancata salvezza della patria, dice quasi sottovoce: “A volte ci vuole anche fortuna nel non esserci”. Il nostro ventiquattro non è uno sprovveduto ed in cuor suo lo sa bene che nessuno avrebbe raddrizzato lo spareggio contro la Svezia. Neppure lui. Forse anche per questo, con un po’ di classe, non calca la mano.

Lo scudetto

A Napoli, sinora, parla il campo. Per merito o per fortuna. C’è differenza? Il Sarri post partita – ovvero tipicamente il migliore – conferma con onestà a chi riconosce cattiveria agonistica sul rettangolo di gioco: “Il cinismo non si sa mai se sia una dote o fortuna”. Il cinismo è come la verità, ha molte traduzioni e ancor più genitori. E proprio come la verità, è anche quanto ti capita nella vita. Lasciamo parlare il campo, allora, che a Napoli – e forse in Italia – parla una lingua più nobile, meno plebea e compromessa nei propri sentimenti. Scriveva Cioran in un libro dal titolo apocalittico, Al culmine della disperazione: “Ho dentro di me una confusione e un caos tali da non sapere come l’animo umano possa sopportarli. Troverete in me tutto ciò che vorrete, assolutamente tutto. Sono la contraddizione assoluta […]. In me tutto è possibile, perché sono l’uomo che riderà al momento supremo, davanti al nulla, nell’agonia della fine, nell’istante dell’ultima tristezza”. L’istante che è pura gioia e culmine della disperazione, e che si chiama Scudetto.

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