Un’analisi sullo stato di crisi della Nazionale, tra scelte tattiche sbagliate e una generazione di talenti che non si fa individuare.
Gioco e testa
Secondo la stampa italiana, il problema dell’Italia di Ventura è composito. Nel senso: una parte, grossa, dipende da un gioco che non riesce ad essere incisivo, efficace. In correlazione, c’è il problema della testa, nella testa. Gianni Mura fa l’esempio di Bonucci, leader presunto ma approssimativo (come nel Milan, del resto).
La sensazione diffusa è che Ventura sia il responsabile numero uno del progressivo naufragio. Certo, fare il commissario tecnico è una specie di investimento a fondo perduto: se va bene, Conte docet, è possibile la trasformazione in semidio della panchina. Ma può andar male, come effettivamente sta andando, e allora il destino quasi ineluttabile è quello del capro espiatorio. Sua colpa, sua colpa, sua grandissima colpa. Per noi c’è una parte di verità, ma il solo Ventura non può bastare a spiegare un’Italia così. Ed è la storia, a confermare questa nostra visione delle cose.
Le colpe del Ct
Si può fare di più, nella costruzione di questa squadra. Partiamo da qui, da questo, perché Ventura fa l’allenatore e da un anno e poco più non pare aver messo insieme un modello di gioco accettabile. Di conseguenza, con i risultati che latitano contro squadre non trascendentali, qualche problema essenzialmente tecnico deve esserci per forza.
Secondo noi, le difficoltà si originano da due situazioni primordiali: l’equivoco-Juventus e l’obsolescenza di un certo sistema. La difesa BBC, ieri in campo in formazione completa, ha sostenuto la Juventus per sei anni di trionfi. Difficile trovare un’entità calcistica più affidabile, coesa, funzionale. Anche in Nazionale si è visto, basta pensare all’era Conte. Però, come dire: sono passati due anni, l’età avanza e soprattutto non c’è la stessa qualità davanti alla BBC. Che sarà pure una difesa granitica, ma deve essere messa in grado di funzionare bene. E allora serve un certo talento nel tenere e ricevere il pallone da Bonucci, oppure un sistema strutturato che possa offrire uno sfogo attraverso movimenti magari anche ripetuti, ma almeno utili all’uscita. All’Italia, in questo momento, sembrano mancare entrambe le cose. La qualità della Juve, oppure il sistema tattico e mentale di Conte. Ovvero, due modi diversi di superare i limiti tecnici.
Non per Jorginho
L’altro punto riguarda la composizione della squadra, ovvero il puro schieramento tattico. Che non è (più) al passo con i tempi, soprattutto secondo l’impostazione di Ventura e le indicazioni del nostro campionato. In questo momento, il ct è l’unico tecnico italiano ad utilizzare sempre e comunque due centrocampisti senza supporto creativo. Il famoso doble pivote, il motivo per cui Jorginho non viene preso in considerazione. Ci sta, la scelta di Ventura è condivisibile. Ma non funziona.
Perché non offre il supporto giusto alla BBC (vedi sopra), in fase difensiva come di uscita palla; perché un tridente con due esterni creativi, che amano venire a giocare in mezzo al campo (Insigne e Verdi), oppure un attacco a due punte pure (Belotti-Immobile) necessitano di spazi più brevi, da coprire con un centrocampo di tre uomini. Come quello della Juve, che mette Dybala tra le linee per aprire corridoi di passaggio a Pjanic e Matuidi; come quello dell’Inter, che gioca col doble pivote ma ha un trequartista ibrido; e anche come quello del Napoli, della Roma, del Milan.
Sopra abbiamo scritto dell’obsolescenza del sistema di Ventura, ora abbiamo spiegato perché. Nessuno gioca (più) con quattro esterni, due alti e due bassi, due centrocampisti centrali e due-tre punte contemporaneamente. Il calcio di oggi si svolge e si vince a centrocampo, rinforzando e alzando la qualità della linea mediana. E senza tirare in causa Jorginho o le assenze, ieri sera sarebbe bastato aggiungere Cristante a Parolo e Gagliardini per ricreare un reparto più sensato.
Talento e risultati
Ora, però, andiamo dall’altra parte. Dalla parte dei calciatori e del sistema in senso generale, che pure ricbiama un bel po’ di responsabilità. Nel senso: non è un caso, non può esserlo, che l’Italia non giochi una partita a eliminazione diretta in un Mondiale dal 2006. Due eliminazioni consecutive al primo turno ci dicono che la crisi del nostro talento esiste.
Certo, abbiamo avuto segnali positivi dall’Europeo Under 21 del 2013 e da quello di quest’anno, finale e semifinale per due generazioni di buon livello (quella del ’91 e degli Insigne vari e quella del ’94-95, fino al ’97 Donnarumma); ci sono state le sorprese di Prandelli 2012 e Conte 2016, ma entrambi nascono da un blocco Juve gestito e supportato al meglio da una squadra priva di grandi stelle, ma compatta e tatticamente organizzata. E anche fortunata, in alcuni frangenti.
Quindi, come dire: se la rivoluzione pensata da Ventura non ha attecchito, è vero pure che il nostro movimento vive un momento in cui l’exploit è il massimo cui si può aspirare. Ventura, poi, paga anche il fatto di essere succeduto a Conte. Non ce ne voglia l’attuale ct, ma la differenza, già solo nel nome e nella storia personale e nel palmarés, è troppo ampia per poterli mettere sullo stesso piano. Perché non ci si accorgesse che qualcosa è cambiato, mentre i migliori calciatori italiani sono sempre gli stessi con qualche anno in più sulle spalle. La Nazionale era in una specie di tunnel, Ventura e le sue scelte hanno fatto sì che questo tunnel si allungasse ancora di più. Ora pare davvero difficile che si possa uscire indenni, da questa situazione.