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Real Madrid-Napoli, la cultura della vittoria e l’italiani’s karma

Il Napoli, De Laurentiis, Sconcerti, la Juventus e Francesco Gabbani a Sanremo. E pure noi tifosi. Siamo tutti vittima del risultato, qui in Italia.

Real Madrid-Napoli, la cultura della vittoria e l’italiani’s karma

Premessa

«La nostra forza, il nostro orgoglio, deve essere il gioco bello che pratichiamo». Parole di Aurelio De Laurentiis, uscite tra ieri e l’altro ieri. «Se noi giochiamo con la linea alta, non posiamo vincere certe partite». Parole di Aurelio De Laurentiis, dette ieri sera a Mediaset Premium. «Il Napoli ha perso proprio come non doveva, come non sembrava giusto, mostrando di non essere all’altezza né dell’avversario né dell’ambiente». Parole di Mario Sconcerti, questa mattina sul Corriere della Sera.

Il cambio di idea del presidente e il concetto espresso dall’editorialista del Corsera vanno inseriti tutti nello stesso contesto socio-narrativo. L’Italia. Un paese in cui si parla da anni di “mancanza di cultura della sconfitta”. Arrigo Sacchi ci ha costruito una letteratura, su questa cosa. Sono anni (decenni?) che ne scrive, ne parla, ne racconta.

In realtà, il problema è più sottile. Più subdolo. Non è un problema di mancata cultura della sconfitta. È che noi siamo legati, troppo, alla cultura della vittoria. 

Estetica, identità

Potremmo prendere un nostro pezzo recente, copincollarlo e cambiare solo i riferimenti temporali, geografici, personali. Quello in cui “richiamavamo all’ordine delle cose” Juventibus, in cui spiegavamo che noi siamo perché abbiamo un primato estetico riferito al gioco del calcio. Il pezzo è questo qui, e vi riportiamo una frase che è significativa (ci rivolgiamo, ovviamente, alla Juventus in senso assoluto).

Eppure, sappiatelo: ci vuole tempo per arrivare a noi, a quello che riusciamo a fare in attacco durante la stessa partita, in maniera continua ed asfissiante. In maniera bella da vedere, che non vorrà dire vincere (perché vincete voi) ma appaga gli occhi e l’intelletto. Concilia col pallone, col senso di questo gioco e di questo sport. Contro il Bologna, contro l’Inter, contro il Palermo che poi non vinciamo e pure contro di voi, in casa vostra. Dove l’anno scorso non abbiamo segnato e quest’anno sì, e con un’azione neanche tanto male. Un passo alla volta. Siamo più deboli, dobbiamo avvicinarci ai più forti.

Possiamo aggiungere a questa lista di squadre il Real Madrid? No, forse no. Il Napoli, l’abbiamo spiegato qui, ha sbagliato tanto e per questo non ha offerto la sua miglior prestazione di gioco. Non è stato il solito Napoli. Però, ha provato ad esserlo. Per qualcuno, tipo l’Ultimo Uomo, non c’è riuscito per via del miedo escenico. Per noi, la differenza l’ha fatta soprattutto la forza dell’avversario. Sono sfumature diverse di uno stesso gradiente di colori: noi non siamo al loro livello, ancora. Come non siamo al livello della Juventus, l’abbiamo scritto.

In riferimento a questo, e alle parole sopra di De Laurentiis e Sconcerti: hanno senso certe critiche, certe stroncature, dopo una partita persa così a Madrid?

Risultato

La vera domanda è: se Mertens avesse segnato il gol del 3-2, De Laurentiis e Sconcerti avrebbero detto/scritto le stesse parole? Ebbene, quale sarebbe stata la differenza sostanziale tra il 3-1 che è stato e il 3-2 che avrebbe potuto essere? Noi non la vediamo. Cioè, sappiamo che esiste. Che sarebbe esistita: un 2-3 al Bernabeu è un risultato su cui apporre firma in calce, timbro e impronta digitale – per il riconoscimento. Una mezza vittoria. Che non c’è stata, peccato. Ma che avrebbe potuto esserci, esattamente come il quarto gol del Madrid.

Ecco, appunto. Questo è il calcio, questa è la differenza tra la lettura di una partita e la lettura del risultato. La cultura della vittoria, appunto. L’unica discriminante, sempre, per giudicare tutto e tutti. Ebbene, funziona così? Sì, lo sappiamo. Funziona così anche quando il Napoli gioca a Madrid contro il Real per la seconda (!) volta nella sua storia? Ecco, no. In questo caso è esagerato. Col Sassuolo, col Palermo, pure con la Lazio. Via ai processi. Ma col Real Madrid, dai, facciamo seri. Questo, dovremmo imparare.

Italiani’s karma

L’hanno imparato a Madrid. Basta fare un giro sui giornali spagnoli per rendersene conto. “Un buon Madrid”, hanno scritto. Contro il Napoli, che ieri giocava per la terza volta nella sua storia un ottavo di Coppa dei Campioni. Loro, i giornalisti che seguono una squadra che di ottavi di finale ne ha giocati venti negli ultimi ventidue anni. Hanno vinto “solo” 3-1, con un risultato “umano” come lo 0-2 sono eliminati. Eppure, è “Un buon Madrid”. Hanno contestualizzato il tutto. Perché hanno visto una squadra avversaria «brillante», che «ricorda il Dortmund di Klopp», che «ha problemi in difesa» ma è «esteticamente apprezzabile». Una fotografia lucida, onesta, obiettiva. Condivisibile.

Non qui da noi, però. Noi siamo italiani. Per noi, un risultato quasi del tutto negativo ci dà la possibilità di buttare tutto all’aria, e cacca dappertutto. Ci autorizza a farlo. A definire una squadra «inesistente» o «non all’altezza». E, si badi: non parliamo solo di oggi, del presidente del Napoli o di Sconcerti. No, parliamo anche di noi. Una delle domande che spesso abbiamo posto ai tifosi del Napoli critici verso la gestione De Laurentiis è: se il Napoli avesse vinto l’ultimo scudetto (toltogli solo da una grande Juventus), la “gestione fallimentare” del club in cosa si sarebbe trasformata? 

Mezze misure, contestualizzazione, oggettività, obiettività. Realismo, sempre. Da parte di tutti. Buttiamo via quel bel po’ di Italiani’s Karma che abbiamo dentro, che ci fa discutere per giorni su una canzone che vince Sanremo sdoganando alcune delle regole storiche, ma non scritte, del Festival. Che fa strano perché non è stato il solito modo di vincere. Ecco, il Napoli sta provando a fare lo stesso percorso del cantante Gabbani. Una roba particolare, strana, anche eterea se vogliamo. La sua identità è questa. È piaciuta, nonostante non sia stata compiutamente vincente, fino a ieri. L’ha detto il presidente, che gli piace. L’ha detto anche Sconcerti, lo sa anche lui. Basta un risultato negativo a cambiare tutto? Ecco, così è ingiusto. È una cultura che non funziona. Quella della vittoria. È l’Italiani’s Karma, che a volte non ci dà il senso esatto della realtà.

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