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Napoli-Besiktas, l’analisi tattica – No Jorginho, no ritmo

La marcatura a uomo e una periodo difficile del regista, più l’assenza di Albiol, costringono il Napoli a sfruttare dinamiche diverse, ripetitive e complicate rispetto al solito.

Napoli-Besiktas, l’analisi tattica – No Jorginho, no ritmo

È molto difficile analizzare criticamente e tatticamente una partita così. Quasi ci viene da dire che Maurizio Sarri, nel postpartita, sia stato riduttivo quando ha parlato di «guarigione del Napoli». Basta leggere un dato semplice, uno solo: i tiri in porta del Besiktas. Sono tre. Tre. Uno ogni mezz’ora, di media. I gol. Poi basta.

Il Napoli non ha subito nulla in fase di non possesso, se non l’azione del primo gol. Se vogliamo, quello è un errore di concetto, di applicazione dei principi difensivi. Una lettura approssimativa e pigra dell’intera catena di sinistra, di Chiriches e di Maggio. La spieghiamo velocemente.

L’errore a catena comincia nel momento in cui Insigne, con Ghoulam costretto a uscire sul terzino del Besiktas (che esce fuori inquadratura), si perde completamente Quaresma. Sul portoghese esce Koulibaly, che crea scompenso al centro; Chiriches potrebbe intervenire ma non lo fa, Maggio non è veloce nell’interpretare il possibile inserimento di Adriano alle sue spalle e Callejon, per una volta, non riesce a chiudere in tempo.

A parte questo, non c’è altro da rimproverare alla difesa del Napoli: il secondo gol nasce da una palla giocata male da Jorginho, il terzo da un calcio di punizione (in leggero fuorigioco) dalla trequarti su cui la difesa non è stata impeaccabile, soprattutto nello scivolamento verso il secondo palo. Il resto, lo leggiamo anche nelle 9 conclusioni concesse, è una roba che non c’è. Tre tiri da fuori area, una conclusione di Quaresma da posizione complicatissima, due tiri respinti dalla difesa, quindi dal dispositivo pensato e schierato da Sarri. Su cui, ieri sera, non c’è niente da eccepire. Primo gol a parte, ovviamente. Esattamente come a Kiev, esattamente come avviene in ogni partita di Champions League come una squadra di rango.

Quindi, concentriamoci su quello che succede in avanti, dal momento in cui il Napoli riconquista il pallone. E prova a giocare come al solito, a modo suo: possesso palla del 63%, 735 palloni giocati a 540, 10 occasioni create e 17 conclusioni verso la porta, di cui 12 dall’area di rigore. Leggendo questi dati, sembra che il Napoli non patisca altro che una semplice crisi realizzativa, non faccia altro che attraversare un momento negativo quando c’è da concretizzare la grande mole di gioco. In un certo senso è esattamente così, ma ovviamente c’è anche altro che non va. Il Napoli di questo periodo fa una fatica tremenda a sviluppare il gioco secondo le sue caratteristiche peculiari, e lo leggi nel numero di palloni toccati da Jorginho, appena 55. Solo Callejon, tra gli undici titolari, ha fatto peggio. Merito del suo marcatore diretto (ieri sera questo ruolo è toccato a Uysal), colpa del periodo di forma negativo dell’italobrasiliano incapace di farsi vedere, di muoversi come prima a tutto campo. In una partita negativa come quella di ieri sera, Jorginho ha il 92% di passaggi riusciti. Ne ha sbagliati solo 3. Uno è quello del gol. Quindi, come dire: il Napoli ha il solito Jorginho, quello di sempre. Che però è limitato dagli altri (che lo marcano) e da un periodo di totale appannamento atletico e mentale, che si riflette nella mancanza di presenza, nelle topiche clamorose e pure nella quasi totale assenza di partecipazione alla fase difensiva (una sola palla intercettata, ieri sera). Sotto, l’eloquenza dei dati di movimento: a destra, la heatmap di Jorginho ieri sera; a sinistra, la heatmap dell’italobrasiliano in Palermo-Napoli.

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Come spiegato da Sarri nel postpartita, Jorginho non è il problema. O almeno, il problema non è solo Jorginho. L’italobrasiliano soffre delle sue prolematiche personali (il periodo di scarsa concentrazione, la marcatura degli avversari), ma anche l’incapacità della squadra di rimanere corta, di ripartire velocemente e intelligentemente. Di uscire dalla difesa attraverso scambi brevi e ravvicinati. Insomma, per riferirci a qualcuno e a qualcosa: manca Raul Albiol. L’avevamo già scritto, sul Napolista. Lo ripetiamo oggi: il difensore spagnolo è fondamentale nella gestione della linea e del dispositivo di pressing, ma soprattutto in uscita. Ieri sera, Chiriches e Koulibaly hanno giocato una partita discreta in fase di impostazione (per entrambi, una pass accuracy dell’86%), ma entrambi hanno utilizzato direttrici di passaggio che non sono consuete per il gioco del Napoli: il romeno ha trovato il suo maggior appoggio in Zielinski (15 appoggi), l’ex Genk in Hamsik (14 tocchi). Parliamo cioè di tocchi in verticale, che non permettono alla squadra di salire armonicamente ma le impongono di annullarsi perché velocizzano la giocata, costringendo le due mezzali a un lavoro di costruzione che ne limita la produzione offensiva (un solo key pass sia per Hamsik, più il lancio per il gol, che per Zielinski) e gli uomini offensivi che ricevono il secondo passaggio (solitamente gli esterni) a giocare contro una difesa schierata, solitamente in uno contro uno-due. In questo modo, il Napoli si ritrova a soffrire squadre che giocano basse e compatte, soprattutto in zona centrale perché non ha sbocchi di passaggio se non sulla sovrapposizione dell’esterno difensivo. Una roba che si conclude con un cross (33, ieri sera). Ma che con Mertens centravanti non è proprio utilissima. Sotto, gli schieramenti medi delle due squadre e la lavagnetta dei key passes azzurri.

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Il Besiktas, a destra, più che rispondere caricando il lato destro, ha deciso di riempire lo spazio centrale in modo da limitare i servizi che dalla sinistra giungevano verso il centro. La marcatura a uomo su Jorginho, affidata al numero 20 in questa rappresentazione, ha permesso alla squadra turca di riuscire a recuperare velocemente le posizioni a ogni attacco degli uomini di Sarri, in modo da mantenere sempre la superiorità numerica sulle linee di passaggio.

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Le occasioni create dal Napoli. Solo due ad opera di Hamsik e Zielinski, mentre le altre sono tutte di Callejon, Insigne e Ghoulam.

Il Napoli senza Albiol e che non può contare sul miglior Jorginho è quindi costretto a giocare su strade obbligate e piene di avversari. Lo stesso sbilanciamento a sinistra che vediamo nel campetto posizionale sopra è un segno di debolezza strutturale, almeno in questo periodo: il Napoli carica tutto il suo gioco (il 40%, secondo le statistiche) sulla fascia di Insigne e Ghoulam, che diventano prevedibili quando non possono essere assistiti nei giochi a tre da Hamsik (risucchiato dietro, o comunque costretto ad arrivare con un attimo di ritardo per il discorso fatto sopra). Questa inclinazione, che solitamente rappresenta un (se non “il”) punto di forza di questa squadra, diventa segno di difficoltà nel momento in cui viene ricercata comunque nonostante non stia portando a buoni frutti. Insigne, neanche tanto negativo come concetti e movimenti fino al momento del rigore, ha creato solo due occasioni (altrettanti key passes) in tutta la partita; Ghoulam, al di là dei calci d’angolo, non è riuscito a crossare in maniera precisa se non in una sola situazione. L’assenza per causa di forza maggiore dei triangoli di gioco terzino-mezzala-esterno è decisiva per questo Napoli. Non a caso, il gol di Mertens nasce da una palla giocata da Hamsik alla Hamsik, cioè con uno spazio di campo abbastanza ampio in cui “pensare” a cosa fare, aiutato anche dal perfetto inserimento di Callejon. Appena si riesce a liberare lo slovacco, la squadra di Sarri diventa pericolosa.

Più che di vere e proprie difficoltà difensive o generali, e al netto della sfortuna per gli episodi favorevoli, in situazioni come queste entrano in scena scena e gli errori individuali e di concetto. Che, come abbiamo visto, ieri sera sono stati pochi. Ma decisivi. Sulla funzionalità del falso nueve scriveremo più avanti, ma preannunciamo che in uno scenario deficitario o comunque in fase di down come quello appena descritto, la scelta di schierare Mertens in quel ruolo ha in qualche modo contribuito ad accorciare la squadra. E quindi, a risolvere quello che è il suo problema principale in questo momento. L’interpretazione della partita e delle cifre ci permette di chiudere come abbiamo aperto: Sarri, forse, ha ragione nel dire che la sua squadra è in miglioramento dopo Bergamo (soprattutto) e il match con la Roma. In campo, la teoria e l’applicazione ci sono e sono ancora visibili. Mancano alcuni elementi caratteristici, (Albiol, il solito Jorginho e un centravanti in grado di accorciare la squadra ed essere presente in area), manca la serenità di poter superare le (tante, bisogna dirlo) avversità. Gli errori nascono soprattutto da qui. «Ci dobbiamo divertire di nuovo», ha detto sempre Sarri nel postpartita. Difficile dargli torto.

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