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I due pericoli del calcio di sinistra di Sarri: la purezza e le ragioni del partito

Stavolta Sarri mi è piaciuto poco, durante e dopo Bergamo. Il bel gioco rischia di diventare una rendita di posizione.

I due pericoli del calcio di sinistra di Sarri: la purezza e le ragioni del partito
Sarri (foto Cuomo)

Mi è piaciuto assai poco di Sarri, stavolta, durante e dopo la gara persa a Bergamo.

Nel post partita ai microfoni della Rai il tecnico toscano riconosce che queste sono le partite sporche per sfangare le quali il Napoli dovrà lavorare molto. Una lucida analisi con una buona intenzione. Poi alla domanda concreta, se per ridurre la stanchezza mentale da lui stesso denunciata dopo la Champions qualche cambio avrebbe giovato, le risposte destano qualche perplessità.

La prima su Rog, che “non conosce ancora l’italiano”. Un commento curioso se fatto da un importante esponente di una società che nelle ultime settimane ha aperto due posizioni manageriali per le quali l’italiano non era obbligatoriamente richiesto, e che nell’89 si ritrovò a far alzare una coppa Uefa a un centravanti brasiliano che ancora oggi a stento spiccica una frase di senso compiuto nel nostro idioma. I calciatori del Napoli devono imparare l’italiano per poter giocare? Nel mondo in cui Mazzarri allena il Watford in Premier, parlando l’inglese che parla, sarebbe interessante saperlo.

Tralasciando Giaccherini (che il tecnico ricorda sia entrato, sorvolando però sul dettaglio del minuto, il 79esimo) la seconda osservazione di Sarri riguarda Diawara e i cambi alla linea difensiva: del primo dice che “ha quindici partite in Lega Pro e venti in Serie A”; della seconda ammette che non può cambiare due elementi su quattro. Il che solleva una domanda legittima circa i tempi richiesti agli innesti e la reale adattabilità del lavoro svolto. Sarri è autore di una rivoluzione calcistica “di sinistra”, come l’ha sagacemente definita Sconcerti, per differenziarla da quella analoga ma “di destra” di Arrigo Sacchi. La splendente meccanica di precisione del motore sarriano inizia a mostrare un prezzo, le “ragioni superiori del partito” – per continuare la metafora politica – alle quali tutti devono attenersi in modo perfetto anche solo per ottenerne la tessera. Sarebbe interessante a questo punto quantificare, anche in una stima grezza, quale sia questo costo, perché a volte i suoi termini sfuggenti iniziano a farmi suonare il gioco eccellente che si vede in alcune partite – con ogni probabilità il migliore mai ammirato nella storia del Calcio Napoli – come una piccola rendita di posizione usata dall’allenatore nei propri confronti dialettici (in una nazione non esattamente immune al fascino della rendita di posizione, qualunque essa sia). Questo arroccarsi sulla necessità della purezza formale, specie nelle grandi esperienze “di sinistra”, può mostrare il fianco, anche perché Sarri – che è ad ogni evidenza il miglior allenatore sul campo in Italia – è pur sempre la stessa persona cui capitò di dire che Saponara era un fuoriclasse che le squadre italiane non si sarebbero potute permettere di comprare per il valore che avrebbe in breve tempo raggiunto. Rendendolo, per mutuare ancora Sconcerti, un uomo “dedito più̀ alla causa che alla storia”.

Pare che la sconfitta di Bergamo abbia destato meno preoccupazioni dei famosi torti arbitrali subiti sinora, e per i quali molti giornalisti ritengono di stilare una classifica “aggiornata” al netto degli errori dei direttori di gara. Ora, continuando a pensare che le squadre crescano nella loro mentalità vincente quando, a prescindere dai risultati, riescono a individuare e separare ciò che è sotto il loro controllo da ciò che non lo è, mi pare doveroso sottolineare che le decisioni a noi sfavorevoli non abbiamo gli strumenti per evitarle; ma l’effetto della stanchezza contro la quintultima in classifica possiamo provare a mitigarlo, da subito. E senza rendite. Facciamo ciò che dobbiamo, accada ciò che può.

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