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La grande vittoria di Conte: le lacrime dei calciatori, l’atteggiamento positivo e costruttivo dei media

La grande vittoria di Conte: le lacrime dei calciatori, l’atteggiamento positivo e costruttivo dei media

Piangevano, a fine partita. Tutti quelli dell’Italia che hanno inquadrato e intervistato. È stata una cosa strana, si era in una stanza a parlare per scacciare ansie e delusioni e ci siamo fermati. Guardali, piangono. Buffon, Bonucci, Barzagli. La voce rotta, gli occhi rossi, il flusso di parole che si interrompe. 

Qualcuno ha detto che piangevano perché “hanno sprecato un’occasione irripetibile, la Germania non li sbaglia tre rigori”. Potrebbe anche essere, ma si dovrebbe ripartire comunque da qui. Da quello che questa Nazionale è riuscita a mettere insieme, e parliamo di emozioni e non di risultati. Questa Italia ha avuto un impatto, sugli italiani, che forse nessuno poteva in qualche modo preconsiderare. E quando parliamo di italiani parliamo anche di loro, di quei calciatori che stasera piangono perché hanno dato il massimo e il massimo non è bastato. Piangono perché sono infelici del fatto di dover essere comunque felici di sé stessi e del loro Europeo. Questa è la verità, e il loro è il pianto che fa più male di tutti. Ma fa anche bene, pure se è scoramento e non liberazione. 

Si dovrebbe ripartire da qui non per motivi puramente tecnici o fondamentalmente tattici – e per questo rimandiamo alla onesta lettura di Mario Sconcerti sulla “partita che doveva finire 0-0 e che ha premiato la migliore adattabilità e la maggiore fortuna dei tedeschi” -, ma perché questa nazionale è riuscita a fare gruppo. Lo vedi nelle lacrime dei suoi calciatori, lo vedi nei commentatori della prima ora. E non è la solita locuzione scontata, il luogo comune, la frase fatta. È tutto vero, lo è dentro e fuori lo spogliatoio, luogo metafisico che ormai ingloba tutti, anche i media. L’atmosfera televisiva è indulgente, è positiva, è di critica costruttiva. Negli studi Rai, così come a Sky, si registra questa sorta di redenzione: l’Italia ha perso, evviva l’Italia. Addirittura Arrigo Sacchi, che probabilmente ribolliva dentro per l’atteggiamento speculativo della squadra di Conte, ha fatto i complimenti ai ragazzi che stasera hanno tenuto praticamente fermi all’angolo i campioni del Mondo. Una squadra fortissima che ha avuto forse più occasioni dell’Italia, ma che per buona parte della serata ha finito per far girare solo il pallone come una mosca sotto il bicchiere, in una superiorità più virtuale che reale.

Non c’è moviola, ci sono i complimenti a chi ha vinto e chi ha perso. Certo, la strage di Dacca avrebbe forse smorzato i toni in ogni caso (Flavio Insinna, conduttore della serata, dice proprio così), ma le ideali pacche sulla spalla sono l’atteggiamento che si vorrebbe sempre vedere quando finisce una partita di calcio. Certo, c’è pure un retrogusto di retorica e amor patrio che fa capolino, ma anche questo fa parte del gioco. Ed è pure bello. La verità è che c’era amore, dentro e intorno a questa squadra. Magari finto e posticcio, probabilmente momentaneo e alimentato dai risultati, ma il vestito indossato era quello buono: nessun attacco, nessuna critica esasperata. Solo incoraggiamento dopo la delusione, e i complimenti per quanto di buono è stato fatto.

Questa è la vera vittoria di Antonio Conte: attraverso il campo (la sua polemica conferenza stampa subito dopo, da questo punto di vista, è infatti censurabile) è riuscito a far sì che un gruppo di tifosi, in questo caso una nazione intera, abbia saputo affezionarsi a chi la rappresentava. Senza se e senza ma, pure in caso di sconfitta. Anzi, soprattutto in caso di sconfitta. I calciatori piangevano per aver disatteso le speranze di chi si era reinnamorato di loro, loro stessi innanzitutto. Piangevano perché ci credevano, avevano iniziato nuovamente a crederci. E non ce l’hanno fatta comunque, nonostante questo, e si sono pure ritrovati a perdere nel modo più crudele possibile.

Eppure, tutto quello che è venuto dopo è stato bellissimo. Dignità e orgoglio, anche nella sconfitta. Voglia di andare avanti, di costruire invece che criticare prima o distruggere poi. Impariamo da questa serata, anzi partiamo da questa serata. Che la strada è quella giusta.

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