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Viva Totti, ma ormai il pallone è oscurato dalle chiacchiere

Viva Totti, ma ormai il pallone è oscurato dalle chiacchiere

Entro, segno dopo 17 secondi, rifaccio gol dopo due minuti e vinco da solo alla faccia, e che faccia, di Luciano Spalletti che da ieri sera non sa come recitare la parte ingrata del “preso in giro”. O da qualche altra parte.

Capitano mio capitano, il popolo giallorosso, manco a dirlo, è al culmine grasso della gioia e irride all’allenatore che pur avendo traghettato la squadra fuori dal limbo della classifica, non può consentirsi di mortificare l’idolo consacrato. Che secondo i tifosi ha diritto di giocare fino a cinquant’anni e non a 45, come, al contrario, ritiene Totti.

Potremmo mettere punto qui dicendo che stiamo vivendo una storia tipica capitolina che si richiama a Trilussa, all’amatriciana e alle prodezze del mago Giucas Casella, quello che riusciva a camminare sui carboni ardenti. C’è, però, un altro risvolto, amaro e ancora più problematico che sfiora anche la tifoseria napoletana molto simile, del resto, a quella capitolina per affinità antropologica (in senso calcistico beninteso) per intensità di affetto morboso nei confronti della squadra e dei suoi idoli e per l’arbitrio di travalicare il ruolo proprio dell’appassionato che, al contrario, non può oltrepassare la soglia dello spogliatoio e pretendere di mettere becco nel lavoro e nelle scelte dell’allenatore. Ha il diritto di critica, ma non può imporre alcunché. Nel regno televisivo, e quindi telecomandato, del calcio dei nostri giorni precari, insomma, si è superato ogni limite e succede che nel giorno in cui sarebbe giusto, e gratificante, celebrare l’ennesima prodezza di un calciatore immenso per classe e attaccamento alla maglia, bisogna, invece, dedicarsi a considerazioni che nulla hanno a che spartire con lo spettacolo calcistico e lanciano ombre sulla performance tecnica davvero fuori del normale.

Tiriamo una conclusione, allora, e che sia quella definitiva perché la ripetitività di certi discorsi fa venire noia e allontana dal calcio che è sempre meno gioia e gioco ed è sempre più rissa e faziosità. Ciò detto, le cose stanno così: Spalletti, cioè l’allenatore, deve essere lasciato in pace, il suo ruolo non può essere messo in discussione e addirittura svilito a meno che non si voglia scegliere come modello di comportamento il signor Zamparini che cambia il tecnico come il cronista cambia i pedalini – alla romana – cioè una volta al giorno. Ieri sera il buon Lucianone, che avrà pure le sue colpe ma è del tutto in buona fede in questa storia, era in evidente imbarazzo; sorrideva, ma l’umore era più nero del volto non sbarbato e si capiva che avrebbe avuto voglia di mandare tutti a quel paese. Che è poi lo stesso desiderio che ha il tifoso napoletano ben nato – non nel senso del cantante ma della moderazione – ascoltando alla nostra latitudine localtelevisiva i piagnistei di quanti si divertono a fare le bucce a Sarri discettando di Mertens, Gabbiadini, minuti giocati, formule matematiche e altre amenità. Autorizzati, anzi, in qualche modo stimolati, dai cattivi maestri in perenne attività di servizio. Per una vittoria – anche ricca di sei gol e di giocate spettacolari – non si ride più, si rimpiange lo scudetto mancato del quale è colpevole soprattutto il presidente che nel mercato di riparazione non ha potenziato l’organico della squadra. Discorsi da bar dello sport, potremmo liquidarli così, ma anche le gocce scavano la pietra e, allora, è più che mai urgente e indispensabile porre un argine alla deriva che mina alla base il gioco preferito degli italiani.

E allora concludiamo in questo modo: teniamoci er Pupone ma aridateci er pallone. E così sia.      

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